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Crisi in Libano. P. Abboud (Caritas): “I benefattori di ieri sono i poveri di oggi”. Il “grazie” a Papa Francesco

Il prossimo 1° luglio Papa Francesco ha convocato in Vaticano i principali responsabili delle Comunità cristiane presenti in Libano, "per una giornata di riflessione sulla preoccupante situazione del Paese e per pregare insieme per il dono della pace e della stabilità”. In vista dell'incontro il Sir ha chiesto al presidente di Caritas Libano, padre Michel Abboud, di tratteggiare un quadro della crisi nel Paese dei Cedri.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Il prossimo 1° luglio mi incontrerò in Vaticano con i principali responsabili delle comunità cristiane presenti in Libano, per una giornata di riflessione sulla preoccupante situazione del Paese e per pregare insieme per il dono della pace e della stabilità”.

P. Michel Abboud, pres. Caritas Libano

Richiama l’annuncio di Papa Francesco, all’Angelus del 30 maggio, padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano, per commentare al Sir quello che considera “un evento significativo che dimostra ancora una volta come il Pontefice abbia a cuore le sorti del nostro Paese per il quale auspica un futuro stabile e sereno”.  “Davanti a tanta confusione politica, alla crisi economica che ci attanaglia – afferma al Sir padre Abboud – è facile sentirsi abbandonati e soli, ma

il Papa ancora una volta rivolge il suo sguardo paterno al nostro Paese.

Uno sguardo benevolo e attento che conferma la Chiesa locale come un punto di riferimento per tutto il nostro Paese e dona ulteriore significato allo spirito religioso del nostro popolo”.

“Questo incontro – aggiunge – deve aiutarci a pensare alla resurrezione del Libano dove la presenza cristiana ha una sua chiara identità così come stabilito dal suo ordinamento politico su base confessionale. Non possiamo lasciare che il Libano perda la sua strada in questo momento di difficoltà in cui versano i suoi abitanti”.

Senza un Governo da nove mesi. Di questo periodo, proprio un anno fa, padre Abboud affidava al Sir un forte appello alla solidarietà: “ogni giorno lottiamo contro una povertà che cresce sotto i nostri occhi. Abbiamo bisogno di cibo, medicine e vestiti”. La crisi economica e finanziaria senza precedenti, scoppiata ben prima della pandemia di Covid-19, non aveva ancora visto l’esplosione del 4 agosto al porto di Beirut. Da quel momento in poi il Paese dei Cedri è stato scosso da una lunga serie di proteste popolari contro il Governo incapace di trovare una soluzione alla crisi e di fare fronte a un debito pubblico pari a quasi il 170% del Pil. Il Libano è privo di governo dall’agosto 2020, dopo le dimissioni del premier uscente Hassan Diab, in seguito alle micidiali esplosioni avvenute il 4 agosto nel porto di Beirut.

(Foto: ANSA/SIR)

Dopo un anno la crisi è diventata ancora più drammatica come testimoniano le parole dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, in Libano il 19 e 20 giugno scorso, prima visita ufficiale a nome dell’Ue: “La leadership libanese – ha avvertito Borrell – deve assumersi le proprie responsabilità e adottare le misure necessarie senza ulteriori indugi: occorre formare un governo e attuare immediatamente le riforme fondamentali. Non riusciamo a capire perché, nove mesi dopo la designazione di un premier, (Saad Hariri, ndr.) non ci sia ancora un governo in Libano”. L’Onu e la Banca mondiale stimano che più della metà della popolazione viva sotto la soglia di povertà. La lira locale ha perso dall’autunno del 2019 circa il 90% del suo valore, facendo schizzare alle stelle i prezzi dei beni al consumo e dei servizi essenziali visto che il Libano importa quasi tutto, persino aglio e cipolle.

“Non avevamo mai patito la fame”. “Dagli inizi degli anni ’70 – ricorda il presidente della Caritas – il Libano ha visto un susseguirsi di guerre civili e tensioni, con morti e distruzioni, ma

i libanesi non hanno mai patito la fame come in questo tempo

segnato da crisi economica e dal Covid-19. Chi prima aveva un salario mensile di 1000 dollari oggi ne percepisce non più di 100 con tutto quello che ne consegue per l’acquisto di beni di prima necessità, come cibo e medicine, i cui prezzi, tra l’altro, sono saliti e di cui si registra enorme carenza. Nel Paese abbiamo tanti ospedali fermi perché non sono in grado di fornire prestazioni mediche, operazioni e cure. I feriti e i malati durante le guerre passate non hanno mai avuto difficoltà ad esser curati. Anche le scuole patiscono questa crisi: molti istituti, 11 dei quali gestiti dalla Chiesa, sono rimasti chiusi in questo anno e altre 70 scuole rischiano di chiudere. Professori e medici sono senza lavoro. Solo negli ultimi tre mesi si stima che siano emigrati all’estero 1100 medici e circa 1000 insegnanti. Altri stanno pensando di fare la stessa cosa. In gran parte sono cristiani e questa emorragia mette a rischio anche la presenza e l’identità cristiana libanese”.

“Un esodo cristiano – sottolinea padre Abboud – non voluto dalla comunità musulmana del paese. Non lo dico per fanatismo perché in Libano cristiani e musulmani hanno sempre convissuto e lavorato insieme. E vogliamo continuare a farlo. Senza cristiani il Libano perderebbe una parte del suo profumo, la sua esistenza verrebbe minata alla base. Il Libano ha bisogno dei cristiani”.

“I benefattori di ieri sono i poveri di oggi”. La disamina della situazione libanese si allunga anche alla Caritas, che fa fatica a soddisfare i bisogni della gente. “Se prima ai nostri centri arrivavano a chiedere aiuto 10 persone bisognose – spiega il religioso – adesso ne arrivano 50. Le famiglie che prima portavano in Caritas doni e offerte adesso vengono a chiedere aiuto. Insomma,

i benefattori di un tempo sono i poveri di oggi.

Cerchiamo di fare il possibile e se oggi il Libano ancora sopravvive è per i libanesi della diaspora. Dall’estero, infatti, mandano soldi per sostenere parenti e amici. Diversamente sarebbe una catastrofe. Anche le agenzie internazionali e le ong si danno da fare aiutando sia i libanesi che i rifugiati siriani, iracheni, palestinesi. I progetti solidali che come Caritas cerchiamo di portare avanti si fermano davanti ai bisogni impellenti dell’oggi, cibo, medicine, latte per i bambini. Questo è il nostro primo compito e preoccupazione. Lo è davanti ai libanesi e lo è anche davanti al 1,5 milioni di rifugiati siriani, e non solo, che sono riparati in Libano dal 2011 e che vivono come possono cercando di sopravvivere tra le onde della crisi. Dobbiamo continuare ad aiutarli e ringraziamo i tanti donor che ci assistono in questo compito”.

Vittime della politica. Lo stallo politico impedisce la soluzione della crisi libanese. Padre Abboud, a riguardo non usa mezzi termini:

“l’impasse cui stiamo assistendo da oltre nove mesi è frutto dell’egoismo dei politici che invece di perseguire il bene comune ricercano particolarismi e interessi di parte”.

“Il popolo libanese è vittima di questo stallo, vittima dell’egoismo della politica. E questo sta accadendo nell’inazione della Comunità internazionale. Se il Libano è nel cuore del Papa non possiamo dire la stessa cosa della comunità internazionale” ribadisce il presidente della Caritas, per il quale “fa bene il patriarca maronita, il card. Boutros Bechara Rai, a richiamare il Paese all’unità, a denunciare gli interessi privati della politica e ad auspicare che l’incontro del 1 luglio contribuisca a riaffermare l’identità del Libano come modello di libertà, democrazia e convivenza cristiano-islamica, nel rispetto del pluralismo. Il nostro popolo è stanco di umiliazioni”. “Grazie Papa Francesco perché non dimentichi il Libano, grazie per il tuo sguardo rivolto al nostro Paese – conclude padre Abboud -. Aiutaci a tornare ad essere quel ‘messaggio’ per tutto il Medio Oriente, aiutaci a credere nel miracolo della salvezza e del futuro per tutti”.

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