Coronavirus in Brasile. A Manaus 140 sepolture al giorno. L’arcivescovo Steiner: “La telefonata del Papa, un conforto per la gente”

La metropoli dello Stato di Amazonas è tra le più colpite dalla pandemia e le cifre ufficiali (5.700 contagi e circa 500 morti nello Stato amazzonico per Covid-19 al 1° maggio) sottostimano la realtà che cozza con il ritmo incessante delle inumazioni. Una descrizione della drammaticità della situazione la fornisce al Sir l’arcivescovo, dom Leonardo Steiner, francescano minore, da pochi mesi alla guida dell’arcidiocesi, dopo essere stato per otto anni segretario generale della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. La telefonata di Francesco, arrivata proprio in questi giorni, “è stata - spiega l’arcivescovo - uno straordinario gesto paterno per tutti noi. Tutti ora sanno che il Papa è con noi, che si prende cura dei drammi umani ed è vicino ai poveri”

La precisazione è arrivata mercoledì scorso dalle autorità locali di Manaus: fosse comuni sì, ma non casse accatastate, disposte in tre strati, come era accaduto il giorno prima, causando la veemente protesta dei familiari. Una notizia che dà l’idea della situazione nella metropoli capitale dello Stato brasiliano dell’Amazonas, e porta d’ingresso della grande foresta. Se in Brasile il coronavirus galoppa, al ritmo ormai di 7mila contagi e 500 morti al giorno, secondo i dati ufficiali, Manaus è oggi il caso maggiormente “fuori controllo” del Paese, oltre che la conferma di quanto le cifre ufficiali (oltre 5.700 contagi e circa 500 morti nello Stato amazzonico per Covid-19 al 1° maggio) sottostimino la realtà. Infatti, da una settimana ormai le inumazioni, che vengono effettuate anche di notte, sono circa 140 al giorno. E uno studio della rivista Epoca sul confronto dei decessi con lo scorso anno evidenzia che negli ultime settimane, solo a Manaus, c’è stato un aumento di 750 morti rispetto allo scorso anno. E ora il rischio è che il contagio si diffonda in modo massiccio anche nella foresta e nelle riserve indigene.

In uno scenario così tragico, stride l’atteggiamento del presidente della Repubblica Jair Bolsonaro, le cui ultime dichiarazioni sono state: “E allora? Mi dispiace. Che volete che faccia? Mi chiamo messia ma non faccio miracoli”.
Stride, soprattutto, in confronto alla mobilitazione e alla responsabilità della Chiesa, alla quale, in questa intervista per il Sir, dà voce l’arcivescovo di Manaus, dom Leonardo Steiner, francescano minore, da pochi mesi alla guida dell’arcidiocesi, dopo essere stato per otto anni segretario generale della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. Dom Steiner sta in questi giorni telefonando, a uno a uno, a tutti i sacerdoti, e sabato scorso ha ricevuto la chiamata di Papa Francesco e il 1° maggio si è recato egli stesso in cimitero, a benedire le salme, chiedendo ai sacerdoti di fare altrettanto nei prossimi giorni.

Dom Leonardo Steiner, arcivescovo di Manaus

Eccellenza, com’è la situazione a Manaus? Si parla di più di 100 sepolture al giorno, del rischio di morti per le strade… che notizie ci sono?
La situazione è drammatica. La popolazione dell’area metropolitana di Manaus supera i due milioni. Metà della popolazione dello stato di Amazonas vive nella “grande Manaus”. Oltre al coronavirus, siamo nel periodo dell’anno in cui compaiono altre forme virali. Il sistema sanitario dello Stato era inadeguato prima, immaginate ora. Gli ospedali sono pieni e le terapie intensive non hanno letti disponibili. Questa realtà contribuisce a far sì che un certo numero di persone muoia in casa. Secondo le informazioni che abbiamo, le sepolture quotidiane superano le 140. Prima della pandemia erano circa 30 al giorno. Continuiamo sulla curva ascendente dell’infezione. Ma ci sono anche molta solidarietà e carità.

Le persone stanno rispettando le misure di protezione o ci sono stati errori o sottovalutazioni?
Abbiamo sospeso la celebrazione pubblica delle Messe prima che il Governo prendesse una decisione. Inizialmente, c’era una forte adesione delle persone all’isolamento. Con la palese critica rispetto a queste misure da parte del Presidente della Repubblica, le persone hanno iniziato a circolare molto di più. Ma continuiamo con la sospensione della celebrazione pubblica delle Messe e insistiamo sull’isolamento.

In che modo la pandemia ha impatto sulla situazione sociale di Manaus?
Le periferie di Manaus sono molto povere. Abbiamo circa 2mila persone che vivono sulla strada; la presenza di gruppi indigeni, nelle zone periferiche della città, è di circa 35mila persone; abbiamo la presenza di migranti haitiani e venezuelani. Con l’interruzione del commercio, le persone non hanno entrate, nonostante il salario minimo previsto dal Governo. Abbiamo persone che non dispongono della documentazione necessaria per poter accedere a questo sussidio. La città ha una grande zona industriale, che è ferma. La situazione è la stessa in tutto il mondo. Ma le persone che vivono con l’elemosina e l’aiuto di altri stanno soffrendo molto. È a partire da tutto questo che

abbiamo cercato, come Chiesa, di uscire e portare aiuto.

La città è la porta d’ingresso della grande Amazzonia. C’è il rischio che il contagio si estenda alle popolazioni indigene?
Nonostante l’isolamento che le comunità si sono imposte, c’è sempre il pericolo di contagio. Il virus ha già raggiunto alcune comunità indigene, secondo i rapporti ufficiali. E qui a Manaus, in periferia, sono già sedici gli indigeni deceduti.

Ha apprezzato la telefonata del Papa? Cosa vi siete detti?
La chiamata del Santo Padre è stata uno straordinario gesto paterno per tutti noi. I cattolici, ma anche molti altri, si sono sentiti confortati. Tutti ora sanno che il Papa è con noi, che si prende cura dei drammi umani ed è vicino ai poveri. Ha chiesto delle popolazioni indigene, dei poveri. Ha detto che pregava e desiderava affermare la sua vicinanza. Ho spiegato rapidamente il contributo che stiamo dando, in questo momento difficile per la nostra città. Attraverso la telefonata, la gente ha sentito la presenza del Papa. Gli siamo profondamente grati per le parole di incoraggiamento e conforto che abbiamo ricevuto.

Come sta rispondendo la Chiesa dell’arcidiocesi all’emergenza sanitaria e umanitaria? Quali sono le principali iniziative delle parrocchie e della Caritas?
Abbiamo cercato di collaborare con il Governo nel metterci al servizio dei poveri. Sfortunatamente, non abbiamo un ospedale legato alla Chiesa. Ma ci siamo dedicati ad aiutare i poveri. Abbiamo cercato di servire gli abitanti delle nostre strade, gli indigeni, i migranti e le famiglie povere nelle nostre periferie. Le parrocchie, le Aree missionarie, i fedeli, hanno portato il loro aiuto con la donazione di alimenti, con il servizio di consegna del cibo. I sacerdoti hanno trasmesso le celebrazioni attraverso internet, ogni giorno. Noi tre vescovi concelebriamo la domenica alle 7.30, nella cattedrale, e la Messa viene trasmessa attraverso televisione, radio e rete internet. Cerchiamo di offrire sempre una parola di incoraggiamento e speranza. Dobbiamo anche accompagnare le famiglie che piangono la morte dei loro cari.

Desidera inviare un messaggio di speranza, sia pure in queste circostanze?
La pandemia può renderci più umani e realizzare il grande valore che la vita ha. Il tempo di Pasqua, in questo momento storico, ci mostra che possiamo vivere con speranza e fede. Viviamo la nuova vita di Gesù, siamo stati risvegliati per l’eternità. Nell’apparente assenza di Dio, iniziamo a percepire la sua presenza silenziosa e amorevole, ricordando che la nostra vita, vissuta nell’amore, riempie i nostri giorni, il nostro viaggio.

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