Nel 2024, per il secondo anno consecutivo, il Sud cresce più del Centro-Nord (+0,9% rispetto a +0,7%), ma nel prossimo anno e in quello successivo il rischio è che si torni a quella che con amara ironia la Svimez chiama “normalità”. Vale a dire uno scenario in cui le regioni meridionali crescono meno di quelle centro-settentrionali e devono fare i conti con problemi strutturali gravi nel campo del lavoro, della sanità e della scuola. Con una determinante incidenza del fattore demografico. Il Rapporto 2024 dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – Svimez – ha due facce. Quella che guarda all’ultimo triennio registra risultati tutto sommato positivi, con la maggiore crescita rispetto al Centro-Nord “dovuta a una più robusta dinamica degli investimenti in costruzioni (+4,9% contro 2.7%), trainati dalla spesa in opere pubbliche degli investimenti del Pnrr”. Quella che guarda al futuro coglie invece segnali preoccupanti, che già si sono manifestati nel 2023 e nell’anno in corso.
Un caso eclatante di questa ambivalenza riguarda l’andamento dell’occupazione, che è aumentata ben al di là di un mero recupero degli effetti della crisi. Nel Sud, in particolare, il numero di occupati è salito del 5,4%, riportando la situazione ai livelli di metà 2008. Allo stesso tempo, però, nelle regioni meridionali si calcolano tre milioni di lavoratori sottoutilizzati o inutilizzati: il “non lavoro” resta su valori più che doppi che nel resto del Paese. Di questi tre milioni, quasi un milione rientra nel novero dei disoccupati secondo la definizione ufficiale, 1,6 milioni sono forze-lavoro potenziali e 400 mila hanno un rapporto di part-time involontario. Una condizione, quest’ultima, che interessa quasi i tre quarti degli occupati meridionali a tempo parziale (il 72,9%) rispetto al 46,2% del Centro-Nord, tenendo conto che la media europea è addirittura inferiore al 20%. Nel Mezzogiorno, non a caso, si concentra il 60% dei “lavoratori poveri” italiani. L’andamento positivo del mercato del lavoro non ha impedito l’aumento della quota di famiglie che, pur avendo la persona di riferimento occupata, vive in situazione povertà assoluta. Tale quota è passata dall’8,5% del 2021 al 9,5% del 2023.
L’altra criticità rilevante a fronte dell’incremento occupazionale è quella dei salari falcidiati dall’inflazione. Tra il quarto trimestre del 2019 e la prima metà del 2024, nelle regioni meridionali i salari reali si sono ridotti del 5,7%. La Svimez parla di “un vero e proprio crollo”, dovuto non solo alla dinamica dei prezzi, ma anche ai ritardi dei rinnovi contrattuali in un mercato del lavoro che ha raggiunto “livelli patologici di flessibilità”.
Quanto alla variabile demografica, se al 2050 l’Italia perderà 4,5 milioni di abitanti, ben l’82% di questa perdita riguarderà le regioni del Sud. “Non solo spopolamento, ma un progressivo degiovanimento”, sottolinea la Svimez, che calcola 813 mila under 15 in meno – quasi un terzo di quelli attuali – e 1,3 milioni di over 65 in più. Un “trend demografico avverso” che avrà un forte impatto sulle scuole, con un elevato rischio di chiusura soprattutto nei piccoli comuni delle aree interne. A ciò si aggiunge il fenomeno delle migrazioni intellettuali. Dal 2012 al 2022 hanno lasciato l’Italia 138 mila giovani laureati e quasi 200 mila si sono trasferiti dal Sud al Centro-Nord. L’aumento dei laureati meridionali tra 2010 e 2023 si è realizzato grazie ai titoli conseguiti nelle regioni centro-settentrionali, mentre “è addirittura diminuito il numero dei laureati presso gli atenei meridionali” che, secondo la Svimez, sono a “rischio desertificazione”.
“L’emergenza è l’emigrazione, non l’immigrazione”, afferma il Rapporto.
Una forte mobilità riguarda anche il comparto sanitario. Nel 2022 la mobilità passiva ha interessato 629 mila pazienti, il 44% dei quali residenti in una regione del Sud. Nel Mezzogiorno non mancano esperienze positive – la Svimez cita tra l’altro il modello innovativo della Rete oncologica campana – ma lo squilibrio con il Centro-Nord, soprattutto a livello di prevenzione, è vistoso. Basti pensare che in Friuli-Venezia Giulia hanno avuto accesso agli screening mammografici con cadenza biennale 9 donne su 10, in Calabria 2 su 10.
Il Rapporto conferma e rilancia la denuncia della Svimez sui rischi dell’autonomia differenziata, mentre sostiene la necessità di dare piena attuazione alla Zes (Zona economica speciale) unica per il Mezzogiorno. Occorre per il nostro Paese una nuova politica di coesione e la proposta è di adattare a questo fine il metodo Pnrr: erogare risorse al raggiungimento di obiettivi.