Redistribuzione del reddito. Russo (Alleanza contro povertà): “Speriamo sia il segnale dell’inversione di tendenza, ma non abbiamo risolto tutti i problemi”

“Che la diseguaglianza tra ricchi e poveri si riduca marginalmente è una buona notizia così come lo è il fatto che si sia ridotto il rischio della povertà. Ma da qui a dire che con il passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione il problema è stato tranquillamente superato mi sembra un po’ eccessivo”, afferma il portavoce dell’Alleanza contro la povertà commentando i dati diffusi dall’Istat su “La redistribuzione del reddito in Italia”. “Credo che sia azzardato affermare che i nuclei che hanno ancora bisogno di essere sostenuti si siano ridotti da un milione a 480mila”, aggiunge, esprimendo “preoccupazione” per le centinaia di migliaia di famiglie tagliate fuori dall’Assegno di inclusione

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Speriamo sia il segnale dell’inversione di tendenza, ma attenzione: non abbiamo certo risolto tutti i problemi. Che la diseguaglianza tra ricchi e poveri, valutata attraverso l’indice Gini, si riduca marginalmente è una buona notizia così come lo è il fatto che si sia ridotto il rischio della povertà. Questo non è un fatto di poco conto, in un Paese in cui nell’arco degli ultimi 10 anni progressivamente la povertà assoluta è aumentata e la povertà relativa rischia di ‘tracimare’ verso quella assoluta. Ma da qui a dire che con il passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione il problema è stato tranquillamente superato mi sembra un po’ eccessivo”. Così Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, commenta i dati diffusi dall’Istat su “La redistribuzione del reddito in Italia”. Stando al report, le modifiche al sistema di tasse introdotte l’anno scorso hanno ridotto il rischio di povertà di 1,2 punti (dal 20% al 18,8%). Meno evidente l’effetto sulla diseguaglianza, passata dal 31,9% al 31,7% in un anno. Le famiglie beneficiarie del Reddito e della pensione di cittadinanza nel 2023 sono poco più di un milione, il 20% in meno rispetto al 2022. “La riduzione della platea – ha spiegato l’Istat – è riconducibile a famiglie che, vedendo migliorare le proprie condizioni economiche, non possiedono più i requisiti di reddito e a un calo nell’adesione alla prestazione”. Generalizzata anche una riduzione del beneficio percepito: “La perdita complessiva – precisa l’Istituto di statistica – ammonta in media a 1.663 euro (pari a circa 138 euro mensili)”.

La povertà in Italia è davvero in calo?
L’immagine che restituiscono i dati dell’Istat fa emergere sicuramente due notizie positive. La prima è che il sistema delle tasse avrebbe in qualche modo aumentato la redistribuzione dei redditi; quindi attraverso la leva della tassazione il rischio della povertà è diminuito quasi di un punto percentuale. A ciò si aggiunge l’impatto positivo dell’Assegno unico. Questo fa sì che, dice l’Istat, nel 2023 si è ridotta marginalmente la disuguaglianza tra chi non ce la fa e chi ce la fa, tra ricchi e poveri, attraverso la detassazione di una parte dei redditi e l’Assegno unico.

Nessun beneficio, invece, per quanto riguarda il Reddito di cittadinanza con circa 1 milione di famiglie che hanno subito una diminuzione o l’annullamento del sussidio rispetto al 2022…

La legge 85 del 2023, quella che è intervenuta sul Reddito di cittadinanza, aumenta le disuguaglianze.

Alle due tendenze positive – nuova fiscalità e Assegno unico – si affianca quella sfavorevole legata al Reddito di cittadinanza, che restituisce un’immagine tutt’altro che tranquilla.

I primi pagamenti nel 2024 dell’assegno di inclusione ci hanno detto che sono stati raggiunti solo 480mila nuclei familiari su circa un milione di famiglie che venivano in qualche modo intercettate dal Reddito di cittadinanza. Questo non può far stare tranquilli, in un Paese nel quale ci sono quasi sei milioni di poveri e oltre 2.200.000 famiglie povere.

Stiamo parlando di povertà assoluta. Ci sono poi le persone che in qualche modo riescono a percepire il Supporto formazione lavoro, che è la seconda misura introdotta dalla legge 85. Si tratta di 18-60enni che possono al massimo percepire un contributo sostanzialmente ai processi di formazione professionale, di accompagnamento al lavoro, un aiuto annuale che si può percepire per 12 mesi e non più di 12 mesi, dell’importo di 350 euro al mese che, oltretutto, evidentemente non è un aiuto al reddito, ma a frequentare un percorso formativo che è cosa diversa rispetto alle politiche di aiuto al reddito.

Chiarito il quadro, che giudizio date?

Non si è scalfito il problema della povertà.

Con gli ultimi dati diffusi qualche mese fa, l’Istat ha detto che nel 2022 in Italia c’erano 5,6 milioni di poveri assoluti. E non ha fatto considerazioni sui poveri relativi che sono quelli che evidentemente destano preoccupazione, se non c’è in qualche modo un’inversione di tendenza rispetto all’inflazione che ha agito pesantemente sulle famiglie in difficoltà economica.

Se qualcuno vuole affermare che a beneficiare dell’Assegno di inclusione sono 480.000 famiglie e non un milione perché sono intervenute le due leve – quella fiscale e quella dell’Assegno unico –, a me sembra un po’ poco onestamente.

Credo che sia azzardato affermare che i nuclei che hanno ancora bisogno di essere sostenuti si siano ridotti da un milione a 480mila. Siamo convinti che attraverso l’Assegno di inclusione, purtroppo, abbiamo lasciato fuori centinaia di migliaia di famiglie.

Questo è un calcolo che non abbiamo fatto solo noi ma anche l’Ufficio parlamentare di bilancio qualche mese fa. Per queste famiglie noi continuiamo ad avere legittimamente una preoccupazione; d’altra parte, lo stesso ministro del Lavoro, Marina Calderone, prima che si chiudesse la prima verifica sui percettori dell’Assegno di inclusione ha dichiarato che si aspettava una platea di almeno 750.000 famiglie.

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