Orfani di femminicidio. Con i Bambini: “Nel 36% dei casi erano presenti durante l’uccisione della mamma”

“I bambini diventano orfani due volte. Abbiamo assunto la responsabilità di stare loro accanto e non lasciarli soli”, dice Marco Rossi-Doria, in occasione della presentazione di dati inediti sui figli delle vittime presi in carico dai progetti resi noti, il 20 novembre, per la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. La raccolta e l'elaborazione dei dati è stata realizzata dalle ricercatrici dell'Unità di M&V e valutazione di impatto e dell'Unità di sviluppo inclusivo di Arco, centro di ricerca del Pin - Polo universitario della Città di Prato

foto SIR/Marco Calvarese

Non ci sono stime ufficiali su quanti siano gli orfani delle vittime di femminicidio in Italia. Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, ha avviato “A braccia aperte”, la prima iniziativa di sistema in loro favore e a supporto delle famiglie affidatarie. In gergo vengono definiti “orfani speciali” perché la perdita di uno dei genitori è avvenuta per mano di un coniuge. Ma sono doppiamente orfani, perché la perdita della madre per mano del padre significa anche che l’altro genitore non ha più contatti con i figli e questi divenuti maggiorenni e consapevoli dell’accaduto quasi sempre non vogliono più vederli.

Sono 157 gli orfani presi in carico dai quattro progetti finanziati da Con i Bambini. Questo dato è variabile perché altri 260 in tutta Italia sono stati già agganciati dai partenariati gestori e a breve inizieranno anch’essi un percorso di sostegno e accompagnamento con le loro famiglie. Il progetto “Orphan of Femicide Invisible Victim” segue il Nord Est, mentre nel Nord Ovest opera il progetto “Sos – Sostegno orfani speciali”. Nel Centro Italia è attivo il progetto “Airone”, al Sud “Respiro – Rete di sostegno per percorsi di inclusione e resilienza con gli orfani speciali”. La percentuale più alta di orfani accompagnati riguarda il Sud, al momento (ottobre 2023) ci sono 100 orfani presi in carico grazie al progetto “Respiro”. Ma il dato è fortemente in crescita. “Per il 74% dei beneficiari l’età di ingresso nel progetto è tra i 7-17 anni, per il 17% l’età è compresa tra 18-21 anni e per il rimanente 8% l’età è inferiore a 6 anni. Di questi, il 56% sono di sesso maschile e il 43% femminile (1% non specificato). Il 95% dei beneficiari presi in carico ha la cittadinanza italiana, solo il 5% ha cittadinanza di altri Paesi Ue o extra-Ue. Nel 36% dei casi i bambini erano presenti al momento dell’evento”. Questo elemento ha conseguenze che condizioneranno ancor più pesantemente per gran parte della vita. I minori che diventano orfani a seguito di tali tragici eventi subiscono un impatto psicologico devastante, il quale inevitabilmente influisce negativamente sulla loro sfera emotiva e relazionale. Le conseguenze psicologiche creano una vera e propria sindrome denominata “child traumatic grief”. Il bambino, sopraffatto dalla sofferenza e dalla reazione al trauma, diviene incapace di elaborare il lutto, trovandosi intrappolato in uno stato di dolore cronico. Il 13% degli orfani presenta forme di disabilità (precedenti al trauma); tra le più comuni vi sono disabilità intellettive e relazionali e un ulteriore 8% presenta bisogni educativi speciali (Bes), disturbi evolutivi specifici o disturbi psichici.

“Il 42% oggi vive in famiglia affidataria, il 10% vive in comunità e il 10% con una coppia convivente. Solo il 5% è stato dato in adozione e vive con una famiglia adottiva. L’83% delle famiglie dei beneficiari arriva a fine mese con grande difficoltà, spesso per la necessità di circondarsi di professionisti e specialisti per supportarli con i bambini, come emerso dalle interviste ai caregiver, ovvero di chi si prende cura del minore. I nuclei familiari includono in media tra i 3 e i 5 componenti compresi i bambini”. La condizione socio economica degli orfani e delle famiglie affidatarie è un altro elemento discriminante per la crescita di bambini e ragazzi che hanno subito un trauma così forte. “Il 52% riceve misure di sostegno al reddito: il 6% reddito di cittadinanza, il 45% altre misure”. L’impossibilità ad accedere agli strumenti a loro tutela o avere le stesse opportunità degli altri ragazzi non fa altro che acuire ancora di più il discrimine che sono costretti a subire anche per il loro futuro. “Il 15% di loro dichiara di avere un reddito annuale inferiore a 12mila euro, l’8% superiore, mentre per il 77% l’informazione non è nota”.

L’azione di prossimità che Con i Bambini promuove con gli orfani di femminicidio rappresenta anche una vera inchiesta conoscitiva del fenomeno. Per inquadrare meglio il fenomeno vanno presi in considerazione i fattori che caratterizzavano la vita dei ragazzi orfani di femminicidio antecedenti all’evento. Gran parte dei nuclei familiari, ovvero il 65%, non era in carico ai servizi sociali prima dell’evento, nonostante la presenza di elementi di vulnerabilità. Fatta eccezione per 25 casi cioè il 35% dei beneficiari, in cui il nucleo familiare di origine non presentava elementi di vulnerabilità, in tutti gli altri casi, si riscontrano elementi di vulnerabilità che rendono ancora più complessa la gestione delle dinamiche familiari. Tra questi i più comuni sono la presenza di familiari con dipendenze da sostanze o altro e di familiari con provvedimenti giudiziari prevalentemente di natura penale. Un altro elemento da considerare è la violenza assistita: fisica, psicologica, sessuale. In particolare, la violenza assistita psicologica è stata segnalata in 50 casi su 70.

Nei casi di femminicidio presi in carico dai progetti di Con i Bambini “il 36% dei bambini erano presenti al momento dell’uccisione della madre”.

Tre bambini, le cui madri sono state vittime di femminicidio nel 2015 e nel 2017, al momento della presa in carico da parte del progetto non erano ancora stati resi consapevoli o a conoscenza della verità rispetto all’evento. In altri 7 casi di femminicidi avvenuti tra il 2016 e il 2022 i bambini risultano essere solo in parte a conoscenza e consapevoli della verità. In numerosi casi è stato grazie al supporto del progetto che le famiglie affidatarie hanno accettato di raccontare la verità rispetto all’accaduto. Da altre interviste è emerso che in alcuni casi i professionisti che all’inizio avevano seguito le famiglie avevano consigliato di non dire la verità, o non erano in grado di gestire le emozioni durante i colloqui, confermando l’importanza della formazione e della seria supervisione per affrontare questo lavoro complesso e prezioso, che oggi le reti al lavoro garantiscono.

L’iniziativa voluta da Con i Bambini mira a sviluppare un modello flessibile e personalizzato di intervento multidisciplinare sistemico a sostegno degli orfani speciali. Nel corso dei 48 mesi di accompagnamento gli obiettivi sono “costruire una solida rete affettiva e relazionale che sostenga gli orfani nella loro crescita intesa in modo olistico (scuola, supporto psicologico, sport, orientamento al lavoro, ecc.); favorire il consolidarsi di una rete a sostegno degli affidatari insieme ad associazioni, Terzo Settore e attori della società civile di ogni territorio e dell’intero territorio nazionale; attivare sistemi per la precoce intercettazione del rischio di violenza domestica”.

(Foto: “Con i Bambini”)

“La tragedia dei femminicidi purtroppo non finisce – ricorda Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini -. Siamo tutti colpiti da questa condizione terribile. Centinaia di bambini e ragazzi vivono una situazione difficile, fortemente traumatica: la mamma viene uccisa spesso davanti ai loro occhi dal padre, che finirà i suoi giorni in prigione o si suiciderà come spesso accade.

I bambini sono orfani due volte, perdono madre e padre in un solo momento anche perché chi resta in carcere difficilmente vede i propri figli.

A crescere gli orfani di femminicidio sono i parenti di prossimità: nonni, zii, che però, nei fatti, non godono ancora, purtroppo, di costanti azioni di prossimità che le politiche pubbliche si ripromettono da tempo di attuare e vengono lasciati soli ad affrontare un dramma così grande che ha bisogno di un’attenzione specializzata, così come di supporto burocratico, economico, organizzativo, legale… E poi c’è la vita che deve ricominciare: gli studi, il lavoro e la necessità di curare la ferita profonda che è dentro di sé”. Con i Bambini grazie al Fondo di contrasto della povertà educativa, aggiunge Rossi-Doria, “segue concretamente in tutta Italia i ragazzi e i bambini rimasti orfani a causa dell’uccisione della madre, sperimentando, così, un modello di intervento che dovrà servire ai decisori pubblici per garantire i risultati auspicati su un tema tanto difficile. Il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile in Italia ha assunto la responsabilità di mettersi accanto e accompagnare passo passo questi ragazzi nel migliorare la propria vita e avere una opportunità di elaborazione, per quanto possibile, di un evento inconsolabile e di crescita”.

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