Verso gli Oscar: “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Edward Berger e “Women Talking” di Sarah Polley

Sale la febbre da Oscar in vista della 95a edizione degli Academy Awards, domenica 12 marzo. Tante le incognite sulla statuetta per il miglior film. Tra i titoli in corsa due in evidenza. Anzitutto il dramma bellico “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Edward Berger, dal romanzo di Erich Maria Remarque, film targato Netflix che è su piattaforma dallo scorso autunno, ma ha fatto parlare di sé soprattutto di recente ricevendo 9 candidature agli Oscar. E' nei cinema dall’8 marzo con Eagle Pictures “Women Talking. Il diritto di scegliere” di Sarah Polley dal romanzo di Miriam Toews. Il punto Cnvf-Sir.

(Foto Reiner Bajo)

Sale la febbre da Oscar in vista della 95a edizione degli Academy Awards, domenica 12 marzo. Tante le incognite sulla statuetta per il miglior film. Tra i titoli in corsa due in evidenza. Anzitutto il dramma bellico “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Edward Berger, dal romanzo di Erich Maria Remarque, film targato Netflix che è su piattaforma dallo scorso autunno, ma ha fatto parlare di sé soprattutto di recente ricevendo 9 candidature agli Oscar. Un racconto asciutto e disperante della Grande guerra, che apre a un parallelismo con la ferocia e l’inutilità di ogni conflitto. Un grido assordante dinanzi al sacrificio di generazioni di giovani gettati nella vertigine del Male. Ancora, è nei cinema dall’8 marzo con Eagle Pictures “Women Talking. Il diritto di scegliere” di Sarah Polley dal romanzo di Miriam Toews, un’intensa e pungente metafora sulla violenza ai danni delle donne e sul bisogno di trovare una voce comune di denuncia. Un film-dialogo come presa di coscienza collettiva. Tra le protagoniste Claire Foy e Frances McDormand.Il punto Cnvf-Sir.

“Niente di nuovo sul fronte occidentale” (Netflix)

Forte della vittoria di 7 Premi Bafta in Inghilterra, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (“Im Westen nichts Neues”) guarda ai Premi Oscar con non poche aspettative: corre infatti per 9 statuette, tra cui miglior film, sceneggiatura non originale, film straniero, fotografia e montaggio. Scritto e diretto magnificamente dal tedesco Edward Berger, classe 1970, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” è il terzo adattamento cinematografico del romanzo Erich Maria Remarque del 1928, il racconto della tragedia umana durante la Grande guerra, del sacrificio di giovani mandati allo sbando a combattere con la promessa di un conflitto lampo, tramutatosi poi in una guerra stanziale brutale e disumana.

La storia. Germania, nella primavera del 1917 quattro studenti appena diciottenni – Paul (Felix Kammerer), Albert, Franz e Ludwig – firmano per l’arruolamento volontario. Vengono spediti al fronte, sul confine occidentale, a combattere l’armata francese. L’entusiasmo patriottico e il cameratismo giocoso affievoliscono quasi subito tra trincee e fango. Diciotto mesi dopo, nel novembre 2018, a un passo dall’armistizio, ben poco rimarrà della loro gioventù…

(All Quiet On The Western Front ©ReinerBajo)

Atroce e bruciante, ma non ricattatorio a livello emotivo, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” mostra la guerra in tutta la sua brutalità, senza orpelli o filtri, cercando il racconto verità, un realismo macabro ma necessario. Non si possono, infatti, fare sconti alla guerra, dissimularne ferocia e disumanità, proprio perché il suo racconto tiepido spesso ha ingannato migliaia di giovani, che mossi da alti ideali e da “facile impeto” si sono immersi in un incubo senza ritorno. Berger apre l’obiettivo della camera sull’orrore, e sembra farlo quasi con una mission educativa: occorre mostrare il vero volto della guerra, non solo della Grande guerra, bensì di ogni guerra, compresa quella attuale che lambisce l’Europa. Una trincea dove la brutalità del Male ha sempre la meglio, dove la vita, i sogni di gioventù, evaporano come neve al sole.

Il tratto più “disturbante” dell’opera di Berger risiede proprio nel mostrare l’assurdo dispendio di vite, di vite giovani, per logiche viziate dal Male, dalle decisioni di pochi ai danni di molti. Efficace e raggelante, da questo punto di vista, è il “montaggio alternato” che il regista mette in campo tra sequenze di conflitto al fronte, con giovani impantanati tra sangue e fango nelle trincee, e l’andamento dei negoziati, disseminati da parole gravide di piccoli egoismi, pronunciate in confortevoli vagoni di treno mangiando brioche. È la distanza siderale tra gli scacchisti della guerra e i “martiri” inconsapevoli al fronte. Una situazione che si ripete, ieri come oggi.

Berger ha firmato probabilmente il film della vita, quello che cambia il corso della carriera. Un film intenso, ruvido, a tratti respingente, che però si muove sul binario della giusta causa, un lucido e vibrante grido di protesta davanti alle inaccettabili logiche belliche. È davvero il film dell’anno, da Oscar? La risposta è incerta, perché dinanzi a opere del genere ci si sente sempre un po’ in difficoltà, condizionati dal peso di un racconto imponente e doveroso. “Niente di nuovo sul fronte occidentale” non introduce di certo un punto di vista “inedito” del conflitto sul grande schermo, ma la sua forza risiede in una narrazione compatta, lucida e scomodamente realistica, che focalizza il sogno infranto, disperso, di una gioventù cui è stato sottratto il futuro. Un film di impianto storico che si erge come manifesto contro ogni conflitto. Un’opera di grande impatto, da non trascurare. Complesso, problematico, per dibattiti.

 

“Women Talking. Il diritto di scegliere” (Cinema, 08.03)

Agli Oscar corre per miglior film e sceneggiatura non originale. Parliamo di “Women Talking. Il diritto di scegliere” (“Women Talking”) scritto e diretto da Sarah Polley, una produzione che vede in prima linea Frances McDormand e Brad Pitt. Prendendo le mosse dal romanzo di Miriam Toews del 2018, “Le donne che parlano”, il film si posiziona tra la favola sociale di matrice drammatica e la messa in scena teatrale. Un evento circoscritto, l’assemblea di un gruppo di donne, che trova la risonanza di un manifesto contro gli abusi e sul coraggio-dovere di denuncia.

La storia. In una comunità rurale di matrice religiosa ultraconservatrice, le donne vengono sistematicamente assalite e violentate. Un giorno molte di loro decidono di riunirsi in un granaio per consultarsi e votare una mozione: accettare silenziosamente lo status quo, rimanere ribellandosi oppure partire. Tra loro troviamo le adulte Agata (Judith Ivey), Greta (Sheila McCarthy) e Scarface Janz (Frances McDormand), come pure le giovani madri Ona (Rooney Mara), Salome (Claire Foy) e Mariche (Jessie Buckley). Nel dialogare le donne della comunità lasciano emergere differenti punti di vista, condizionate spesso dalla paura per un’aggressività maschile irreparabilmente fuori controllo come pure dal timore di perdere il “Regno dei cieli”. L’unico uomo presente è il maestro di scuola August Epp (Ben Whishaw), chiamato a verbalizzare la riunione…

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(l-r.) Michelle McLeod stars as Mejal, Sheila McCarthy as Greta,
Liv McNeil as Neitje, Jessie Buckley as Mariche, Claire Foy as Salome, Kate Hallett as Autje, Rooney Mara as Ona and Judith Ivey as Agata in director Sarah Polley’s film,
WOMEN TALKING
An Orion Pictures Release
Photo credit: Michael Gibson
© 2022 Orion Releasing LLC. All Rights Reserved.

Sembra quasi un dramma da camera, come il bellissimo “Carnage” (2011) di Roman Polański. Con “Women Talking” la regista Sarah Polley mette a tema la violenza sulle donne, senza mai mostrarla da vicino. La sua brutalità emerge con forza solo attraverso le parole e i volti, i lividi e le ferite delle protagoniste. Ogni donna è vittima di abusi e intimidazioni. L’universo maschile è ritratto quasi totalmente come contaminato, come uno spregiudicato predatore, mai inquadrato dalla camera della Polley. Volti sfumati di un’umanità viziata dal Male. Gli uomini sono tutti colpevoli, ad eccezione del maestro August Epp, l’unico non corrotto nell’animo, ma di fatto ammaccato dalla vita: a suo tempo allontanato dalla comunità, August è visto dai più come un “reietto”.

La Polley mette in scena un copione potente e spinoso, che trova la sua forza nei dialoghi e nelle interpreti, tutte di grande intensità. Parole e volti che mostrano le umiliazioni che una donna è chiamata spesso a subire nella società odierna. Una piaga da cui è possibile allontanarsi, come suggerisce la regista, grazie alla solidarietà femminile: agire non come voci isolate, ma fare comunità, mettersi insieme per attivare un processo di cambiamento.

Ottime le intenzioni, magnifico il cast, in particolare le prove di Claire Foy, Rooney Mara, Jessie Buckley e Frances McDormand come pure di Ben Whishaw, ma il risultato non è del tutto riuscito. Al di là della scelta discutibile di relegare tutti gli uomini nel perimetro della corruzione, della personificazione della violenza, il racconto risulta penalizzato da un andamento un po’ troppo insistito sia nei dibattiti sia nel tratteggiare le vicende femminili-familiari, soluzioni che alla lunga sottraggono compattezza e pathos alla storia. Nell’insieme, “Women Talking” è un film importante e doveroso, un’opera di stringente attualità che non può lasciare indifferenti. Complesso, problematico, per dibattiti.

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