Figure professionali introvabili. Vacchina (Forma): “Il fenomeno del mismatch è strutturale, occorre un’adeguata offerta formativa”

Operai e tecnici specializzati ma anche professionisti di “alto profilo” come i dirigenti. Sono le figure professionali per le quali nel 2022 è stato più complicato il reperimento avviato dalle imprese disposte ad assumere. La fotografia, per certi versi impietosa, è stata scattata dal Rapporto Excelsior di Unioncamere-Anpal. In un anno è passata dal 32 al 41% la percentuale dei casi nei quali le aziende con dipendenti hanno faticato a individuare il personale di cui necessitavano. Ne abbiamo parlato con Paola Vacchina, presidente di Forma e consigliere del Cnel

(Foto ANSA/SIR)

In Italia “le imprese non trovano lavoratrici e lavoratori qualificati in un Paese in cui milioni di giovani non trovano occasioni adeguate per formarsi e avvicinarsi al lavoro”. È il “tragico paradosso” messo in evidenza da Paola Vacchina, presidente di Forma e membro del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, commentando i dati del Rapporto Excelsior di Unioncamere-Anpal, anticipati nei giorni scorsi da “Il Sole 24 Ore” nel quale viene confermata la difficoltà di molte imprese nel reperire figure professionali idonee a ricoprire le posizioni scoperte. In particolare, nel corso dell’anno che sta per chiudersi il 60% delle imprese con dipendenti è stata interessata da procedure di assunzione di nuovo personale che, nel 41% dei casi, si sono rivelate più difficoltose del previsto. Una percentuale decisamente in aumento rispetto al 32% registrato nel corso del 2021. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro ha pesato maggiormente nel settore manifatturiero: per commercio e riparazione dei veicoli la difficoltà nel reperire nuovi dipendenti ha toccato il 55%, seguito dal 53% per le industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo, e dal 52% per industrie del legno e del mobile, costruzioni e servizi informativi. Le figure professionali più ricercate e al contempo più difficilmente reperibili sono stati operai e tecnici specializzati, per i quali il mismatch è stato pari al 55%.

Dottoressa Vacchina, nel 2022, secondo il Rapporto Excelsior, in più di 4 casi su 10 le imprese con dipendenti che hanno previsto assunzioni hanno fatto difficoltà a reperire le figure professionali di cui necessitavano, un valore in aumento di ben 9 punti rispetto al 32% registrato l’anno scorso. È sorpresa da questi dati?
Purtroppo non sono sorpresa,

il fenomeno del mismatch in Italia è strutturale, e pochissimo si è fatto negli ultimi anni per contrastarlo.

Anzi, alcune visioni ideologiche (la scuola uguale per tutti, le aziende che sfruttano i ragazzi…) hanno finito per appiattire le scelte dei giovani e delle famiglie sul gettonatissimo liceo scientifico, che purtroppo però si rivela privo di sbocchi concreti per tutti coloro che non proseguono gli studi dopo la Maturità. La gravità della situazione può essere pienamente compresa infatti solo affiancando ai dati che lei ha citato almeno altri due gravi fenomeni strutturali: l’altissima percentuale in Italia di giovani “neet”, cioè che non studiano e non lavorano, e il tasso ancora preoccupante di abbandoni scolastici.

È un tragico paradosso: le imprese non trovano lavoratrici e lavoratori qualificati in un Paese in cui milioni di giovani non trovano occasioni adeguate per formarsi e avvicinarsi al lavoro.

Dal suo osservatorio da cosa può essere stata generata questa tendenza? Come contrastarla?

È innanzitutto un problema culturale: pur essendo il nostro un grande Paese manifatturiero non attribuiamo valore, ad esempio, al lavoro degli operai specializzati o degli artigiani.

Molte famiglie ambiscono per i loro figli ad altre professioni, spesso poco richieste sul mercato del lavoro. Ma c’è anche un problema di inadeguata programmazione dell’offerta formativa, dalla Scuola superiore all’Università: essa dovrebbe considerare maggiormente le esigenze del mercato del lavoro. Finalmente si parla, ad esempio, degli ITS Academy, ma della IeFP (Istruzione e Formazione Professionale) regionale quasi nessuno sa niente! In alcune Regioni addirittura questa offerta formativa quasi non esiste. Eppure tutti i settori per i quali si registra la maggiore difficoltà a reperire risorse umane preparate sono tra quelli per cui la IeFP forma operai specializzati, operatrici ed operatori qualificati, tecnici specialisti, che vanno a ruba tra le aziende appena raggiungono il loro titolo di studio. Ebbene, questo filone del sistema educativo nazionale ancora stenta ad affermarsi in due terzi del Paese, dall’Emilia Romagna in giù.

Nella lettera recentemente inviata alle famiglie dal ministro Giuseppe Valditara sono state inseriti informazioni e dati nell’ottica di aiutare gli studenti e i loro genitori a scegliere con maggiore consapevolezza il percorso di studio secondario superiore. Come valuta questa scelta?
Mi sembra un fatto molto positivo. Io dico sempre che

nella scelta vanno tenuti in equilibrata considerazione sia gli interessi, le passioni, le inclinazioni dei ragazzi, sia la concreta possibilità di trovare uno sbocco occupazionale alla fine degli studi.

Credo che se da una parte ignorare i primi potrebbe impedire ai giovani di coinvolgersi nell’apprendimento e di realizzarsi come persone, trascurare la seconda potrebbe portarli su una strada lastricata di disillusioni, di frustrazioni e impedire loro di affrontare con un bagaglio di competenze adeguate il mondo del lavoro e la vita adulta.

A suo avviso, che tipo di politiche dovrebbero essere messe in campo per affrontare il problema di un miglior collegamento tra formazione e mondo imprenditoriale?
Come ho già accennato

occorre innanzitutto una adeguata programmazione dell’offerta formativa,

anche a partite dalle previsioni che il mondo delle imprese può mettere a disposizione. Il settore di cui mi occupo (la IeFP, l’IFTS, gli ITS…) e gli enti di formazione che rappresento, poi, hanno una centenaria tradizione di forte alleanza tra l’istituzione formativa e l’impresa, tra l’educazione e il lavoro. I nostri ragazzi dedicano molto tempo all’esperienza del laboratorio, già all’interno del Centro di formazione, ma soprattutto, ogni anno sono impegnati per lunghi periodi in stage presso le aziende. Anche l’apprendistato formativo è molto diffuso nelle nostre realtà. Dal mio punto di vista andrebbero maggiormente promosse queste proposte formative. Scuole superiori e università, inoltre, dovrebbero avvicinarsi di più al mondo del lavoro, e la loro offerta formativa ne avrebbe così grande giovamento, come dimostrano le non rare realtà di eccellenza che già lo fanno.

Che cosa può fare il mondo della formazione per ridurre il gap di competenze esistente e supportare concretamente la crescita del Paese?
Il nostro mondo dialoga costantemente con le imprese per poter offrire una formazione attenta alle innovazioni di prodotto e di processo che interessano tutti i settori. I nostri percorsi formativi inoltre sono inclusivi e mettono al centro i ragazzi e i loro progetti professionali; essi possono essere aperti non solo ai giovani in età scolastica ma anche a quei “neet” più grandi di cui parlavamo ed eventualmente ad adulti disoccupati che vogliano rimettersi in gioco.

La formazione professionale è una grande risorsa per un Paese che vuole crescere e che cerca energie importanti da valorizzare.

Noi ci siamo, pronti a dare il nostro contributo in questo tempo sfidante ancor più di quanto è avvenuto in passato.

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