Una leadership al femminile. Il ruolo delle donne ministro nel Servizio sanitario nazionale (e non solo)

Tutte accomunate da uno stesso denominatore: il costante impegno nel favorire e sostenere la partecipazione delle donne alla politica. Sono le cinque ministre che hanno guidato negli anni il dicastero della Salute tracciando un profondo segno nella sanità pubblica e nella vita politica e sociale del Paese

La storia del Servizio sanitario nazionale, nato con Tina Anselmi, raccontata da un’inedita prospettiva: quella “delle opere e dei giorni” delle donne ministro succedutesi alla guida del dicastero della Salute. A ricostruire una vicenda per molti aspetti nota, ma arricchita di particolari professionali e umani legati a queste significative figure femminili, è Walter Ricciardi, ordinario di Igiene generale ed applicata all’Università Cattolica, già consulente del ministro Roberto Speranza, nel volume “Onorevole ministra. Il ruolo delle donne nel Servizio sanitario nazionale” (ed. Vita e Pensiero 2022), al quale hanno collaborato anche alcune docenti e ricercatrici.

Tina Anselmi, prima ministro donna della Repubblica e “madre” del nostro SSn, ma anche Mariapia Garavaglia, Rosy Bindi, Livia Turco e Beatrice Lorenzin: una galleria di donne che hanno accompagnato, tra le altre cose, l’istituzione del ministero della Sanità nel 1958 e la sua evoluzione, nel 2001, in ministero della Salute; l’avvio, sviluppo e crisi del Ssn. Per ognuna un profilo che ne delinea background, formazione, impegno e attività politica, seguito da un’intervista nella quale sono esse stesse a raccontarsi, parlando di successi ma senza tacere le sconfitte. “Le ministre – si legge nella prefazione di Eugenia Tognotti – hanno fatto davvero la differenza nella storia del Servizio sanitario nazionale, inquadrato in un più ampio sistema di sicurezza sociale, nato dopo decenni di dibattiti, contrasti, prese di posizione di sindacati, ordini dei medici, sanità privata, multinazionali farmaceutiche, interessi organizzati”.

Ma il contributo offerto dalle donne – in tempi e contesti diversi, spesso dietro le quinte – alla medicina e all’assistenza sanitaria è immenso. A partire dalla sanatrix et magistra Trotula se Ruggiero, attiva all’inizio dell’XI secolo nell’ambiente della Scuola medica salernitana e considerata la fondatrice della ginecologia, capofila di un “esercito” al femminile che si snoda attraverso i secoli fino ai giorni nostri.

E’ grazie all’irriducibile tenacia di Tina Anselmi che la riforma sanitaria giunge in porto e vede la luce il nostro Ssn che, malgrado le criticità e le persistenti disparità territoriali continua, a 44 anni dalla sua istituzione, ad assolvere a uno dei fondamentali doveri di solidarietà umana. Ed è proprio Tina Anselmi ad aprire la rassegna. Nella “quasi intervista” costruita da Ricciardi attingendo ai suoi numerosi interventi e scritti, la prima donna ministro della Repubblica italiana afferma che “la qualità della politica sarebbe migliore se ci fossero più donne accanto agli uomini a gestire i problemi del Paese”. E aggiunge: “Lo stato di salute di una democrazia si vede anche dalla condizione femminile”. “Ci sono dei momenti nella vita politica in cui la nostra coscienza, sia di credenti sia di non credenti, ha molto da fare”, osserva con riferimento alla sua firma, in quanto ministro della Sanità, alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. “Come poi io abbia fatto il ministro sono gli altri a doverlo giudicare, e prima di tutto i cittadini. Non bisogna mai dimenticare che si è lì in rappresentanza di tutti i cittadini e non solo della propria parte politica. Guai a non sentire questa responsabilità”, chiosa. “Nessuna persona è inutile, c’è bisogno di ciascuno. Questo è il messaggio della democrazia. Raccogliamolo se vogliamo essere noi a costruire il nostro futuro. Abbiate fiducia, coltivate la speranza e ribadite l’impegno nel servizio verso gli altri”, la sua eredità.

“Sogno una politica visionaria”, afferma Maria Pia Garavaglia, già presidente della Croce rossa italiana, chiamata nel 1993 dall’allora premier Carlo Azeglio Ciampi a guidare il ministero della Sanità dopo essere stata, fra le altre cose, relatrice nel 1981 di una legge storica come quella sull’abolizione del delitto d’onore. Guardando al futuro, oltre ad auspicare una revisione della formazione dei professionisti della salute, sottolinea l’importanza del concetto di One health perché “più cultura e più salute consentono uno sviluppo economico circolare”.

“Non ho mai perseguito un fine diverso da quello che ritenevo giusto”, racconta di sé Rosy Bindi. “Certamente ho dovuto fare delle mediazioni, accettare una gradualità, veder realizzato un pezzo alla volta”. E considera il suo risultato più importante la riforma sanitaria “che mi ha impegnato quattro anni (1996 – 2000)”. “Avevamo ereditato un Ssn in affanno, screditato dalla stagione di Tangentopoli… La nostra priorità era rafforzare il sistema pubblico e renderlo più equo e solidale”. Oggi, la sua analisi, “c’è bisogno di elaborazione culturale, di pensieri lunghi, di ricerca intellettuale”. Invece, “anche il campo politico a cui ho sempre appartenuto, la sinistra democratica, non sembra all’altezza di una elaborazione politica in grado di delineare un nuovo paradigma”.

Per Livia Turco, i due anni (2006 – 2008) alla guida del dicastero della Salute furono molto difficili perché “in piena offensiva culturale contro la sanità pubblica” sostenuta da “una campagna durissima che esaltava il modello Lombardia di Formigoni”. Oggi, sostiene, “è davvero il momento di avviare un nuovo umanesimo e in questo sento molto vicine le parole di papa Francesco sulla costruzione di un nuovo umanesimo, proprio a partire dalla salute. Non solo come diritto fondamentale, ma come bene comune e bene globale”. Proprio dalla salute “noi dobbiamo riuscire a costruire un nuovo sviluppo economico e sociale, una nuova visione della società” che “valorizzi fortemente la dimensione umana e la relazione umana e comunitaria”.

Difesa della scienza e del Ssn, e attività di programmazione sanitaria. Beatrice Lorenzin sintetizza così “le cose più significative del mio mandato di ministra della Salute”, uno dei più lunghi (2013 – 2018). Il maggiore rimpianto? Non essere riuscita, malgrado l’avvio di un tavolo di lavoro, a concludere il nuovo Piano per la salute mentale. Le vittorie più significative: “Il decreto vaccini e l’aver sconfitto il metodo Stamina”.

 

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