Bioetica clinica e Medical Humanities. Le sfide del nuovo Centro di ricerca dell’Università Cattolica

Ha preso il via lo scorso 13 giugno presso il campus di Roma dell'Università Cattolica il Centro di ricerca per la Bioetica clinica e le Medical Humanities (CRiBCeMH). Tra le prime attività l’organizzazione di una Conferenza internazionale nel giugno 2023. Ne parliamo con Antonio Gioacchino Spagnolo, coordinatore dell’Unità di Bioetica e Medical Humanities dell’Ateneo

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Promuovere attività scientifiche per lo sviluppo della bioetica applicata alla biomedicina, migliorare la cura integrale dei malati, affermare la fondatezza del ruolo delle Medical Humanities (MH) nella formazione degli operatori sanitari. In estrema sintesi sono questi, spiega nell’editoriale del numero 3/2022 di Medicina e Morale Antonio Gioacchino Spagnolo, docente di Medicina legale e coordinatore dell’Unità di Bioetica e Medical Humanities presso l’Università Cattolica, gli obiettivi del Centro di ricerca per la Bioetica clinica e le Medical Humanities (CRiBCeMH) istituito lo scorso 13 giugno nel campus di Roma dell’Ateneo. Tra le prime attività del nuovo Centro l’organizzazione della 17a assise dell’International Conference on Clinical Ethics and Consultation (ICCEC), network internazionale di bioeticisti clinici, in programma dal 7 al 10 giugno 2023 a Roma, presso la Facoltà di Medicina e chirurgia della Cattolica.

Professore, che cosa si intende per bioetica clinica?
E’ una bioetica applicata alla medicina clinica, ossia una bioetica che dall’aula universitaria e dalle sedi di riflessione e discernimento a livello teorico si sposta sul luogo in cui ha origine la questione etica e bioetica; in particolare il letto del paziente. Una riflessione che parte dal caso concreto, personalizzando il giudizio in relazione a quel paziente specifico con la sua storia e le sue caratteristiche. Acquisiti tutti gli elementi del caso, interviene il confronto con l’aspetto etico-antropologico che sostiene e conferma nell’orientamento clinico.

Quindi svolge funzione di consulenza in casi specifici?
Sì, una consulenza che si traduce in facilitazione per il decisore che non è il bioeticista ma il clinico, ossia il medico che dovrà assumere concretamente una decisione dal punto di vista pratico con impatti reali sulla vita del paziente.

Le sostiene, in parallelo, la rilevanza delle Medical Humanities (MH) nella formazione dei futuri professionisti della salute e per la cura del paziente. Perché?
Una rilevanza duplice. Anzitutto sul piano formativo per acquisire una più ampia apertura mentale e capacità di tipo diagnostico. Studi empirici hanno dimostrato che se l’orizzonte mentale del medico non si limita al mero aspetto tecnico delle terapie e delle tecnologie, ma si allarga a comprendere anche aspetti umanistici (anche attraverso le arti, in particolare cinema e letteratura), psicologici, sociali e culturali, la sua sensibilità ne uscirà affinata consentendogli di tenere conto, nella formulazione della diagnosi, anche di queste dimensioni che esprimono l’integralità della persona affidata alle sue cure.

Non sarà allora solo un bravo medico, ma anche un buon medico.

Il Consiglio superiore di sanità ha elaborato un documento proprio sulle MH indicando la necessità di includere nella formazione dei futuri medici le discipline umanistiche. Occorre superare la visione di una medicina quale mera questione di numeri, quantità, teorie scientifiche e

riportare l’umanesimo nella pratica medica.

In altri termini, una sinergia tra scienze naturali e scienze umane. Ma qual è il valore aggiunto dell’unione tra bioetica clinica e MH?
Tra l’una e l’altra esiste un intrinseco legame e noi riteniamo che l’una si possa arricchire nel confronto con l’altra, e viceversa. Per questo abbiamo proposto anche in Cattolica un Centro di ricerca con il compito di approfondire sul piano scientifico questi due aspetti. L’attività della consulenza di bioetica clinica e l’introduzione nel piano di studi dei futuri medici delle MH confermano la loro rilevanza nell’innalzamento della qualità nella formazione dei professionisti della salute e nella cura dei pazienti. E’ importante che la riflessione etica – soprattutto in situazioni critiche a prognosi infausta nelle quali occorre decidere se procedere con interventi che forse possono soltanto prolungare la vita del paziente aumentandone la sofferenza, oppure accompagnarlo con le cure palliative – sia integrata dalla riflessione umanistica.

Nella proposta di legge sulle disposizioni di materia di morte volontaria medicalmente assistita, approvata lo scorso marzo alla Camera, non era previsto alcun riferimento a questioni etiche ma si parlava solo di un Comitato di valutazione clinica.
Sì. Rispetto al testo di legge del dicembre 2021 in cui era incluso il ruolo del Comitato etico territoriale (Cet) chiamato a valutare richieste di suicidio assistito, quest’ultimo testo fa riferimento a Commissioni tecniche di valutazione clinica nelle quali però, a ben vedere, è prevista anche la figura del bioeticista. I criteri di validità della richiesta del paziente sono precisi e fissati dalla Corte Costituzionale; quindi si tratta solo di confermare – o meno – la presenza oggettiva di questi requisiti. Non sappiamo quali saranno i successivi sviluppi di questa vicenda; a mio avviso però sarebbe importante prevedere una consulenza etica prima della richiesta di suicidio, per poter avvicinare il paziente nella fase di sofferenza e disagio che lo portano a questa scelta. In situazioni come queste l’ascolto, il dialogo, il rapporto umano sono fondamentali.

 

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