Suicidi in carcere. Grimaldi: “Serve attenzione ai più fragili”. Mattone: “Ogni morto è una sfida alla nostra indifferenza”

Il 2022 è un anno nero per l’alto numero dei suicidi negli istituti penitenziari nei primi dieci mesi. Le cause possono essere diverse: solitudine, fragilità già esistenti e nuove, sovraffollamento, poco personale, ma di certo, osservano l’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane e il portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli, occorre più accompagnamento e ascolto di chi ha compiuto un errore, ma resta un essere umano con le sue debolezze e le sue paure

(Foto: ANSA/SIR)

Settantaquattro suicidi in carcere in dieci mesi. È il record negativo che abbiamo toccato nel 2022, superando il precedente primato drammatico di settantadue nell’intero 2009. A riportare i dati al 1° novembre 2022 è stata l’associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei detenuti. Quali sono le cause di questo record negativo? Ne parliamo con don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, e Antonio Mattone, portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli, con molti anni di esperienza di volontario a Poggioreale.

(Foto: don Raffaele Grimaldi)

“Noi cappellani, insieme a suore, religiosi e volontari, costituiamo una bella squadra di Chiesa che entra nel carcere per andare incontro alle molteplici necessità. Quando si parla di suicidi in carcere, quindi di persone fragili che compiono quel drammatico gesto, quello che possiamo fare è offrire un sostegno morale, un’attenzione, cercando di donare speranza, avviare un dialogo, consegnando il coraggio della fede: questo siamo chiamati a fare”. A raccontare l’impegno dei cappellani nelle carceri è l’ispettore generale, don Raffaele Grimaldi. “Certamente – aggiunge – chi fa un cammino di fede, un percorso spirituale, anche se ha problemi psichici, affronta il suo essere ristretto in modo diverso, come capita, d’altra parte, anche nel mondo esterno: quando siamo toccati dalla croce, dalla malattia, la fede ci aiuta ad affrontare i momenti più difficili causati da una malattia o da una sofferenza morale. La fede è un toccasana. I cappellani rappresentano la Chiesa che entra in carcere ed hanno il compito dell’accompagnamento per non far sentire i detenuti abbandonati, come fratelli, amici, che li sostengono nei loro momenti di dolore. Annunciamo il Vangelo nelle nostre carceri, portiamo la voce della Chiesa, anche a nome dei nostri vescovi. Senza dimenticare Papa Francesco che sempre ha un’attenzione verso i detenuti. Questo accompagnamento, l’ascolto, l’attenzione aiuta i detenuti ad affrontare i momenti difficili, mentre proprio il senso di abbandono, la lontananza dalle famiglie può essere la miccia per una scelta tragica come il suicidio”.

L’impegno dei cappellani, spiega don Grimaldi, però, non si limita a questo: “All’interno degli istituti molti cappellani sollecitano le direzioni, l’educativa ad essere accanto ai più fragili presenti nelle nostre carceri. Il ruolo del cappellano è di sostegno morale, di incoraggiamento, ma è anche una voce critica, una voce profetica all’interno dei nostri istituti, anche se tante volte questa voce critica e profetica viene colta come un atteggiamento di sfida davanti a quello che non va nelle nostre carceri”. “Il nuovo ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha detto di voler dare priorità alle carceri: questo ci fa enormemente piacere – ammette il sacerdote -, perché è un luogo che ha bisogno di grande attenzione. Quando parla di lavoro e sport, effettivamente sono delle attività che aiutano il detenuto a non sentirsi chiuso in se stesso e a uscire fuori dalle sue realtà personali di abbandono, di sofferenza interiore, di fragilità psicologica”. Don Raffaele precisa: “La pandemia – e ricordiamolo ancora non siamo usciti fuori dall’emergenza – ha influito molto sui nostri istituti penitenziari, facendo emergere molte criticità. In questo frangente ancora una volta a pagare il conto più salato sono state le persone più sole, abbandonate, senza la possibilità di fare colloqui con i familiari. Persone, dunque, anche provate psicologicamente. I tanti suicidi nelle carceri sono anche lo strascico di questo periodo di sofferenza e di solitudine. Molti hanno superato coraggiosamente questa fase, ma tanti altri, purtroppo, già entrati nelle carceri con le loro fragilità umane, con problemi di tossicodipendenza o di dipendenza dall’alcol, hanno sofferto molto in questi anni e anche questo può spiegare l’aumento dei suicidi”. Secondo l’ispettore generale, “il problema dei suicidi nelle carceri dipende anche da come vengono attenzionati i diversi detenuti presenti nei nostri istituti. Negli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) c’era un’attenzione diversa, una squadra di medici preparati ad affrontare questo tipo di problematiche. Quando gli Opg sono stati chiusi, alcuni detenuti sono usciti, ma molti internati purtroppo sono rientrati nelle carceri. Infatti, in molti istituti per loro ci sono delle sezioni, le cosiddette articolazioni per la salute mentale.

Nelle carceri abbiamo bisogno di più medici specializzati ad affrontare questo tipo di problematica sanitaria”.

(Foto: Antonio Mattone)

“Sono stati 74 finora i suicidi in carcere finora e ancora mancano due mesi alla fine del 2022, 35 in più dell’anno scorso, uno ogni 4 giorni. Nel solo mese di agosto si sono suicidati 15 detenuti, uno ogni due giorni, infatti la solitudine si fa molto sentire in carcere nei mesi estivi, quando manca anche il personale perché va in ferie”. A offrire un po’ di dati sul dramma dei suicidi in carcere è Antonio Mattone, portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli. “Dal 2000 – aggiunge – oltre 1.200 persone si sono suicidate in carcere. A questi dati vanno aggiunti i tentativi di suicidio che in genere sono 20 volte in più di quelli che effettivamente portano alla morte. Tante volte sono gesti dimostrativi, fatti non per uccidersi ma per richiamare l’attenzione, ma poi non riescono a controllarli e si trasformano in tragedia. Oltre ai numeri anche il tasso di suicidio è molto alto: nei liberi il tasso di suicidio è dello 0,67 ogni 10mila persone, in carcere è del 10,6 ogni 10mila persona”. Mattone ricorda: “C’è anche il discorso, a parte ma che merita attenzione, dei suicidi tra i poliziotti penitenziari, che non reggono lo stress di un lavoro troppo delicato, con turni massacranti”.

Secondo Mattone, “il primo problema è la mancanza di personale, non solo di Polizia penitenziaria, ma anche di operatori penitenziari, quali medici, soprattutto psichiatri, psicologi, poi educatori, mediatori culturali. A questo si aggiunge l’approccio culturale, con cui vengono seguiti i detenuti: si parla di medicina difensiva, che tende a tamponare le emergenze, ma non c’è una vera e propria presa in carico, non c’è un monitoraggio del paziente durante la malattia.

In un carcere come Santa Maria Capua Vetere per mille detenuti c’è un solo psichiatra, a Poggioreale per 2mila detenuti ce ne sono solo 2.

Tenendo conto che le persone con carenze psichiatriche sono tante all’interno delle carceri o che si psichiatrizzano all’interno del carcere perché non si regge il peso di una detenzione, sono numeri insufficienti, è una grande emergenza”.

Due, ricorda il portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli, “sono i momenti più rischiosi per i suicidi tra i detenuti: quando si entra in carcere è traumatico perché non si regge il peso soprattutto per chi non è mai stato in carcere o per chi non pensava di tornarci; ma anche quando si sta per uscire, nell’imminenza di lasciare il penitenziario, perché magari si sono rotti i rapporti familiari, perché si sono persi il lavoro e la casa, perché si ha paura di affrontare la vita al di fuori. Mi ricordo di un ragazzo molto giovane che si uccise poco prima di uscire perché aveva problemi familiari, aveva paura di non riuscire a riconciliarsi con la moglie: la paura di affrontare la vita al di fuori delle mura del carcere gli ha fatto compiere questo gesto estremo. Consideriamo le persone carcerate come dei mostri, certo, hanno commesso degli errori per cui sono finite dentro, ma sono persone come noi, fragili o che diventano tali. Quando si parla del carcere non bisogna mai generalizzare , ci sono diverse situazioni”.

Un’altra causa di suicidio è “il sovraffollamento perché condividere un bagno in dieci/dodici è problematico, ancor di più se ci sono persone prepotenti, non si regge questa pressione psicologica. Il sovraffollamento rende la vita in carcere più disagiata”. Il problema, ad avviso di Mattone, “è che nessuno parla delle carceri, soprattutto durante la campagna elettorale non sono state al centro del dibattito politico. Giovedì 3 novembre è venuto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, a Poggioreale, è stato un gesto importante perché ha voluto dare un segnale di attenzione a questo mondo, ora bisognerà vedere se riuscirà, nel concreto, a tradurre in fatti questa sua attenzione per il mondo carcerario. A me sembra che solo il Papa parli dei carcerati. Nell’udienza generale del 7 settembre ha denunciato che ci sono troppi suicidi in carcere e ha parlato della sofferenza delle madri dei detenuti, che seguono la Via Crucis dei loro giovani figli detenuti”. “Ogni uomo e ogni donna che preferisce morire piuttosto che vivere nelle nostre prigioni – conclude Mattone – continuano a essere sia una sfida all’indifferenza della nostra società sia una domanda aperta a cui bisognerà rispondere”.

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