A Rebibbia la scuola in carcere per crescere ed imparare un mestiere, ma anche per diventare cercatori di stelle

Un Istituto tecnico con tre indirizzi: è la scuola ospitata a Rebibbia, con i suoi 550 studenti la più grande scuola in carcere d’Italia, “bellissima ma con molti problemi”, spiega al Sir Giovanni Cogliandro che la ha diretta l’anno scorso. “Si lavora in condizioni limite” perché “il tema dell’istruzione carceraria non è abbastanza considerato nel nostro Paese”, afferma auspicando una maggiore attenzione ma anche l’ampliamento dell’offerta formativa ai licei

Photo SIR/CdE

Nell’anno scolastico 2021-2022 è stato alla guida dell’Istituto superiore John Von Neumann, istituto tecnico romano con una sede all’interno del carcere di Rebibbia; lo scorso primo settembre ha passato la mano ad un collega ma continua a seguire con passione il tema dell’istruzione carceraria, convinto che la detenzione “non abbia solo scopo punitivo”, ma debba servire a “formare persone più mature e consapevoli del loro essere cittadini”. Peculiarità del Von Neumann, ci spiega il dirigente scolastico Giovanni Cogliandro, “è l’avere in gestione la scuola superiore nelle quattro istituzioni carcerarie di Rebibbia: il Nuovo complesso, la più affollata con oltre mille detenuti dall’alta sicurezza ai reati comuni; il Carcere femminile; la Casa di reclusione che accoglie condannati in via definitiva per gravi reati a pene anche molto lunghe; la Terza Casa, realtà innovativa, dedicata alla custodia attenuata di chi ha scelto di partecipare a iniziative formative organizzate dalla direzione”. All’interno del penitenziario vi sono anche un Istituto artistico e un agrario, ma il Von Neumann – tre indirizzi: tecnico industriale, professionale servizi commerciali, perito informatico – è l’unico ad essere presente nelle quattro realtà carcerarie, e con i suoi 550 studenti (260 solo al Nuovo complesso) è la scuola in carcere grande d’Italia, attiva dagli anni ’70. Tra i suoi docenti, da oltre 25 anni lo scrittore Edoardo Albinati.

“La scuola in carcere è bellissima, ma ha molti problemi,

si lavora in condizioni limite con carenza di mezzi e di spazi perché il tema dell’istruzione carceraria non è abbastanza considerato nel nostro Paese”,

afferma senza giri di parole Cogliandro, raccontando di difficoltà con l’amministrazione penitenziaria, pur essendo un dirigente scolastico e quindi avendone diritto, ad entrare nelle quattro realtà detentive. “Chi ha commesso un reato è giusto stia in carcere, ma se riteniamo che la scuola sia la più importante delle attività educative dovrebbe essere messa in condizioni di operare”, sostiene, raccontando invece di “aule anguste, buie, inospitali” e di motivi, “a volte incomprensibili, per i quali non si consente ai reclusi di andare a lezione”. Durante il picco pandemico, osserva, “si sarebbe potuto organizzare un sistema di didattica a circuito chiuso, invece i detenuti sono stati fermi un anno, totalmente descolarizzati”. Eppure, insiste,

“la funzione del carcere non è solo punitiva: l’obiettivo dovrebbe essere quello del reinserimento sociale formando persone più mature e consapevoli del loro essere cittadini. Se siamo convinti di questo, un’Amministrazione penitenziaria non dovrebbe maltrattare l’istituzione scolastica”.

Come funziona concretamente la scuola? “L’orario rispecchia quello degli studenti esterni, ma le lezioni iniziano a metà ottobre e finiscono a fine maggio”. Un ostacolo alla continuità didattica, sottolinea ancora il dirigente, è costituito dai trasferimenti da un carcere all’altro, “per le più svariate esigenze, una o anche due volte l’anno. Una prassi che mina la qualità e la continuità della formazione, oltre a destabilizzare i detenuti dal punto di vista psicologico e mentale”.

Forse non tutti immaginano che anche in carcere si possano incontrare persone con menti brillanti e desiderose di approfondire e crescere culturalmente. Perché, si chiede Cogliandro, ai reclusi viene offerta solo un’istruzione tecnico-professionale e nessuno pensa all’istituzione di un liceo, classico e scientifico? “Lo scorso ottobre sono state avviate interlocuzioni con i ministeri della Giustizia e dell’Istruzione per inserire anche i licei nell’offerta formativa – ci racconta –. Ne ho parlato anche con il nostro direttore generale e mi ha detto che se l’Amministrazione penitenziaria lo richiedesse, se ci fossero almeno 15-20 studenti si potrebbe partire”. Sì, perché gli ergastolani, spiega, non hanno bisogno di una formazione tecnica:

“studiano per il piacere di studiare”.

“Chi deve scontare lunghe pene uscirà in età anziana e quindi non mira al reinserimento sociale e lavorativo. Alcuni nostri ex allievi, che io chiamo ‘gli accademici’, si sono laureati in filosofia, lettere, giurisprudenza, economia, matematica, alcuni sono plurilaureati.

Quando la mente umana si adegua ad una situazione di isolamento e solitudine, o si abbrutisce, o assume un atteggiamento di profondità interiore curiosamente simile a quello dei monaci certosini, pur nella fondamentale differenza tra reclusione imposta per l’aver commesso un reato, o liberamente scelta”.

Ed è proprio la forte motivazione allo studio ad avere spinto “gli accademici” a condividere la propria esperienza in un volume collettivo per il quale hanno scelto il titolo di “Naufraghi in cerca di una stella”, perché “così si sentono”, spiega Cogliandro; sottotitolo “Un esperimento di pratica filosofica in carcere” perché si tratta del “primo esito della scuola di filosofia in carcere avviata da Emilio Baccarini, docente emerito di filosofia all’Università di Tor Vergata e curatore del volume”. Un libro nel quale si raccontano come persone ed esprimono il desiderio di insegnare; “ambizione che, con l’autorizzazione della Direzione carceraria, potrebbe realizzarsi all’interno del penitenziario a favore dei compagni”.

A Rebibbia esiste anche un “giornale di Istituto”. Si tratta di “Newsmann”, curato dai docenti della scuola che hanno coinvolto anche i detenuti che, con il solo nome o uno pseudonimo, firmano da un terzo a metà dei contributi pubblicati: “Testi di riflessione e poesie che esprimono l’anelito ad una vita diversa, belli e profondi”. Altri si esprimono attraverso la pittura o organizzano tra loro gruppi di lettura.

“Ogni attività formativa costituisce uno stimolo per cambiare, per crescere, in qualche caso anche per aprirsi alla spiritualità”,

conclude Cogliandro sottolineando che oltre alla presenza del cappellano cattolico, su sua iniziativa sono stati avviati, per chi ne fa richiesta, corsi guidati da due autorevoli maestri di meditazione individuati tramite la Pontificia Università Gregoriana presso la quale il dirigente scolastico si è occupato di mondo buddhista.

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