Divismo e fragilità di Marilyn in “Blonde” di Andrew Dominik. Dall’Iran “Beyond the Wall”

Come una vittima sacrificale sull’altare di Hollywood, cannibalizzata da un machismo dilagante e da un voyeurismo esasperato. Così Andrew Dominik racconta la diva più scintillante dell’industria culturale a stelle e strisce, Marilyn Monroe, scomparsa nell’agosto del 1962. La prospettiva è però quella Norma Jeane Baker, la donna dietro la maschera. Il film “Blonde” è oggi in gara a Venezia79. Sempre in Concorso, il dramma “Shab, Dakheli, Divar” (“Beyond the Wall”) di Vahid Jalilvand, una storia tragica di solidarietà e testimonianza nell’Iran di oggi. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra

Blonde. Ana de Armas as Marilyn Monroe. Cr. Netflix © 2022

Come una vittima sacrificale sull’altare di Hollywood, cannibalizzata da un machismo dilagante e da un voyeurismo esasperato. Così Andrew Dominik racconta la diva più scintillante dell’industria culturale a stelle e strisce, Marilyn Monroe, scomparsa nell’agosto del 1962. La prospettiva è però quella Norma Jeane Baker, la donna dietro la maschera. Il film “Blonde” è oggi in gara a Venezia79; di certo la protagonista Ana de Armas, di struggente bravura, si pone in prima linea per la Coppa Volpi, allontanandola da Cate Blanchett, maiuscola in “TÁR”. Sempre in Concorso, il dramma “Shab, Dakheli, Divar” (“Beyond the Wall”) di Vahid Jalilvand, una storia tragica di solidarietà e testimonianza nell’Iran di oggi. Il punto Cnvf-Sir dalla Mostra.
“Blonde” – in Concorso
Punto di partenza è il romanzo “Blonde” del 1999 scritto da Joyce Carol Oates. A dirigerlo e adattarlo per lo schermo è il regista australiano Andrew Dominik, con una produzione targata Plan B di Brad Pitt e Netflix. “Blonde” ci accompagna all’incontro con il mito di Marilyn Monroe a sessant’anni dalla sua scomparsa, esplorandone divismo e fragilità esistenziali in un biopic atipico, che rispetto alla narrazione lineare, scintillante, predilige la via del viaggio tortuoso nei ricordi, sogni e deliri della star. Non un racconto patinato su Marilyn, ma l’esistenza travagliata di Norma Jeane Baker, la donna sotto il trucco.

La storia. Los Angeles, anni ’30. Norma Jeane è una bambina piccola quando arrivano le prime percosse dalla madre Gladys (Julianne Nicholson), ricoverata poi in una clinica psichiatrica. Una volta cresciuta, per la sua bellezza Norma Jeane viene notata rapidamente da influenti agenti, che le promettono copertine e provini in cambio di rapporti sessuali. Nonostante le degradazioni, Norma Jeane conserva un candore esemplare e si presenta davanti alla macchina da presa come Marilyn Monroe. Hollywood la ama da subito – è una pepita d’oro! –, ma il prezzo che le chiede è altissimo: Marilyn avrà sempre la precedenza su Norma Jeane, costringendola anche a rinunciare alla sua gravidanza. Un trauma che la segnerà per tutta la vita, insieme alla mancanza del padre. Arrivano poi i matrimoni con Joe DiMaggio (Bobby Cannavale) e Arthur Miller (Adrien Brody), compreso l’incontro con il presidente John F. Kennedy. Tutti vogliono la diva, pochi riescono ad amare veramente Norma Jeane.

Blonde. Ana de Armas as Marilyn Monroe. Cr. Netflix © 2022

“Blonde” è un vorticoso e angosciante viaggio nelle pieghe dell’animo di Norma Jeane Baker, del dissidio mai sanato con il suo doppio, l’ingombrante diva Marilyn Monroe, icona del cinema mondiale tutto. Il regista Dominik sceglie un approccio introspettivo tutt’altro che semplice e accomodante: è un giro di montagne russe negli incubi e nei rimossi di Norma Jeane, una creatura fragile e innocente in un’industria spietata e maschilista, che ha approfittato della sua bellezza, del suo essere bionda come lei amava ripetere, togliendole dignità e serenità.

Il suo volto è stato idolatrato, il suo corpo abusato e mercificato. Richiamando “Bones and All” di Luca Guadagnino, in Concorso a Venezia79, anche in “Blonde” c’è traccia di cannibalismo, ma figurato: l’America ha costruito il mito Marilyn, e poi ha sbranato il corpo di Norma Jeane. Tra gli “avventori” più mortificanti che Dominik evidenzia c’è la guida idealizzata del Paese, il presidente Jfk, che in lei vede una distrazione dalla complessa geopolitica mondiale.

Ancora, tra gli amori – tralasciano il triangolo amoroso con uno dei figli di Charlie Chaplin – ci sono il campione di baseball Joe DiMaggio, che si rivolge a Norma Jeane con gelosia crescente e lampi di violenza, e il drammaturgo Arthur Miller, con cui la donna sembra toccare finalmente un momento di stabile felicità. Un triste abbaglio, perché Hollywood non la lascia mai libera.

E poi c’è la questione della maternità mancata e sempre inseguita: all’inizio della sua carriera Norma Jeane acconsente a non tenere il suo bambino, ad abortire, anche se si ribella in ultimo in sala operatoria. Le maglie degli Studios sono più forti e soffocanti, controllano tutto, vita e morte. Lei continuerà comunque a ricordare quel bambino mai nato, abbandonandosi a suggestioni oniriche. Un rimpianto bruciante, mai superato.

Il film risulta dunque un delirio struggente, una danza elegante tra colore e bianco/nero, sulle note composte da Nick Cave e Warren Ellis; a ben vedere, nelle sequenze finali, nella parabola discendente di Marilyn-Norma Jeane, le note di “Blonde” sembrano richiamare quelle funeree di “Twin Peaks” di David Lynch, composte da Angelo Badalamenti. Infine, una parola sull’attrice Ana de Armas: lei è Norma Jeane, è Marilyn Monroe. Straordinaria, candida e sconvolgente. È essenza e fulcro narrativo dell’opera, capace di un’interpretazione che lascia il segno. Marilyn è il ruolo della vita, che la avvicina di certo alla Coppa Volpi a Venezia79, e molto probabilmente anche alla statuetta degli Oscar. Film complesso, problematico, per dibattiti.

“Beyond the Wall” – fuori Concorso
Nel nono giorno della Mostra arriva il primo dei due film iraniani. È “Shab, Dakheli, Divar” (“Beyond the Wall”) scritto e diretto Vahid Jalilvand, un racconto che si snoda sullo sfondo dell’Iran odierno segnato da diffusi conflitti e difficoltà di sopravvivenza.

La storia. Ali (Navid Mohammadzadeh) è un ex poliziotto cieco, che vive da solo in uno scarno appartamento in un grande palazzo. Il giorno in cui prova a togliersi la vita, perché disperato, viene distratto dalla presenza di una donna, Leila (Diana Habibi), in fuga dopo le proteste davanti a una fabbrica, tallonata dalla Polizia. Pur sapendo di correre un rischio, Ali dà subito accoglienza e supporto alla donna…

“Mi sono chiesto come possiamo dare a un pubblico colpito da disgrazie e crudeltà la speranza di rialzarsi, respirare e vivere di nuovo”. Da questa riflessione Vahid Jalilvand parte nel delineare il suo film “Beyond the Wall”, che appare come uno sfaccettato e poetico racconto di redenzione e salvezza. Ali è un ex poliziotto abituato a sfollare i manifestanti. Persa la vista, il lavoro, si sente impotente e rotto. Deciso a togliersi la vita, vira da un gesto disperante a un altro marcato da solidarietà e misericordia: apre le porte della propria casa alla fuggitiva Leila, una donna ingiustamente accusata di sedizione e dell’uccisione di un poliziotto. Leila è spaventata, perché ha perso anche le tracce del suo bambino di quattro anni. Ali fa di tutto per rassicurarla ed aiutarla, esponendosi a perquisizioni e intimidazioni.

Senza voler svelare troppo della struttura narrativa composita, che oscilla tra realismo e derive oniriche, il film di Vahid Jalilvand ci consegna uno spaccato sociale dell’Iran contemporaneo senza puntare il dito contro alcuna istituzione. Racconta solamente l’affanno degli ultimi, dei tanti ultimi, che si trovano senza lavoro e con poco di cui sfamarsi. Un mondo disperato e disperante, dove però si accede la luce della speranza grazie a incontri che salvano. Come quello tra Ali e Leila. Film consigliabile, problematico, per dibattiti.

La nota critica di Massimo Giraldi, presidente Cnvf – Giuria Signis
“Il mito del successo a stelle e strisce non brilla alla Mostra solo con ‘Blonde’, ma anche in una bella e corroborante storia di riscatto, una storia vera. Parliamo di ‘Dreamin’ Wild’ di Bill Pohlad, opera fuori Concorso. Con un cast di tutto rispetto, guidato dal Premio Oscar Casey Affleck, il film ci consegna il ritratto di due fratelli musicisti, e della loro famiglia, che nell’America profonda, rurale, trovano la via del successo a distanza di trent’anni dalla pubblicazione del loro album d’esordio. Un racconto semplice e intimista, ma di grandi valori e vibrazioni emotive. In ‘Dreamin’ Wild’ la famiglia è tutto, supporto fiducioso e ancoraggio nella tempesta. Una storia luminosa di resilienza, puntellata da diffusa tenerezza. Consigliabile, semplice-poetico”.

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