Giovani e società. Pollo: “Devono percepire che per il mondo sono un bene prezioso, non persone in attesa in parcheggi comodi”

Parcheggiati. E pure comodamente. No, per Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma, i giovani hanno desiderio di partecipare e vogliono contare. È il caso del movimento Friday for future e della giovane attivista Greta Thunberg o della grande partecipazione al Salone del libro di Torino. Anche perché, come spiega al Sir, una società che non pensa ai giovani non sa guardare nemmeno al proprio futuro

foto SIR/Marco Calvarese

Parcheggiati. E pure comodamente. No, per Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma, i giovani hanno desiderio di partecipare e vogliono contare. È il caso del movimento Friday for future e della giovane attivista Greta Thunberg o della grande partecipazione al Salone del libro di Torino. Anche perché, come spiega al Sir, una società che non pensa ai giovani non sa guardare nemmeno al proprio futuro.

Professore, che tipo di società stiamo costruendo? Da parte delle giovani generazioni vede dei segnali positivi?
La popolazione italiana è formata soprattutto da adulti, i giovani sono una quota sempre più sottile. La nostra è una società che più sul futuro ragiona sul conservare il presente. I giovani sono visti come persone da proteggere, non come coloro a cui affideremo il futuro. Li manteniamo fuori dal gioco il più a lungo possibile. Basta dire che chi ha superato i 30 anni viene ancora dai media considerato un ragazzo. Non renderli protagonisti e lasciarli in anticamera è un elemento che ci dice come il giovane non sia percepito come il futuro. Del giovane percepito come futuro accettiamo anche il fatto che non sia d’accordo con noi.

(Foto archivio)

L’esempio di Greta Thunberg e del movimento Friday for future però sembra voler dire che i giovani hanno voglia di assumere un ruolo nella costruzione del proprio futuro.
È una espressione della sete di futuro ed è un indicatore evidente e chiaro. Partendo da questa sete i giovani dovrebbero essere coinvolti di più nelle altre dimensioni della nostra vita sociale e produttiva. Significherebbe aiutarli per svilupparsi pienamente. Al Salone del libro di Torino per esempio c’è stata una grande partecipazione soprattutto dei giovani che hanno sete di conoscenza.

Ho insegnato a lungo e dico che nei percorsi formativi scolastici si tende ad abbassare le soglie dell’apprendimento. Questo è un segnale di forte sfiducia nei confronti dei giovani mentre bisogna fare il contrario.

La buona didattica è quella che chiede al giovane non di meno bensì un po’ di più di quello che a livello potenziale potrebbe dare. Occorre riprogettare il nostro modo di pensare ciò che i giovani possono dare, perché chiedere loro molto è un segno di profonda fiducia nelle loro potenzialità. Don Milani sapeva che i ragazzi potevano dare e chiedeva loro tanto. I giovani devono percepire che la società li considera beni preziosi e non persone in attesa in parcheggi comodi.

I giovani hanno poi risposto bene anche alla richiesta di vaccinarsi contro il Covid-19.
È la dimostrazione del potenziale evolutivo di cui i giovani sono portatori. È un potenziale che non utilizziamo, che continuiamo a ignorare. Spesso viviamo come se il mondo finisse con noi. Se gli adulti non sognano il futuro hanno un rapporto sbagliato con i giovani che fanno parte del futuro.

Che messaggio lancia l’astensionismo registrato in queste ultime elezioni amministrative?
Di solito le elezioni amministrative sono legate ai problemi vissuti dalle persone a livello locale. L’astensione significa che gli elettori non hanno percepito nella campagna elettorale la presenza di attenzione e proposte per i problemi concreti. Hanno avvertito una sorta di dissonanza fra il vivere quotidiano e le proposte politiche. Non credo però che questa sia l’unica motivazione. A fronte di problemi della vita quotidiana, alcuni hanno maturato un pensiero distruttivo.

A volte quando non riusciamo a vivere certe situazioni pensiamo che l’unico modo sia distruggere. Su questo si basa anche l’antipolitica. Il sentimento distruttivo è presente perché mancano le grandi narrazioni del passato che erano in grado di convogliare la rabbia e le attese in qualcosa di costruttivo.

Ci sono quindi le soluzioni tecniche o gli elementi aggreganti, pescati dalle narrazioni del passato, ma sono solo slogan che non aiutano le persone a costruire il senso del proprio esistere. Manca la capacità di proporre ideali in cui la persona si riconosca. Credo che serva un salto di qualità della politica in cui si ripensa al tipo di società dove vivere.

La scienza ha dato indicazioni sui vaccini che sono state raccolte dai decisori. Una parte della popolazione, specie gli adulti, non condivide e rifiuta il vaccino. Cosa impariamo dal punto di vista educativo da questo comportamento?
Queste persone rifiutano la scienza perché hanno sistemi di orientamento e di valore che spesso sono fondati su una base emozionale e non razionale. C’è una carenza culturale di fondo, nel senso dei modelli di vita da seguire. Domina la paura e infatti le persone che non si vaccinano spesso lo fanno perché hanno paura. Negli ultimi anni la paura ha orientato la vita di molte persone perché molte proposte politiche l’hanno proposta e/o cavalcata per ottenere consenso. Oltre a questo la scienza e diventata l’unica motivazione a sostegno della scelta di un comportamento sociale. Questo perché a mio avviso, c’è stata l’abdicazione della politica dal proprio ruolo attribuendo le scelte alla scienza. Occorre invece chiedersi: in quale progetto di vita o progetto di uomo utilizziamo il sapere scientifico? Ci siamo ridotti a pensare che tutte le risposte siano date dalle scienze e che tutti gli altri saperi siano di serie b ma non è così. Basti pensare alla medicina in cui si dà importanza al farmaco mentre la cura è fatta anche dalla relazione. Occorre mentre si à il massimo valore alle indicazioni della scienza collocare queste in un discorso più ampio, capace di rivolgersi sia alla razionalità delle persone che ai loro vissuti e esistenziali.

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