Paralimpiadi. Roberta Pedrelli: “Mi sento la persona più fortunata del mondo”

Cesenate (della frazione di Calisese), classe 1979, in questi giorni è a Tokyo impegnata nel sitting volley. Nel 2012, qualche mese dopo aver partorito la figlia, le diagnosticarono un sarcoma dei tessuti molli, un tumore alla coscia. Negli anni hanno cercato di salvare l'arto facendo diversi cicli di chemioterapia, di radioterapia e diversi interventi chirurgici. Nel 2016, racconta, "quando mi dissero che ormai non sarebbero più riusciti a salvare la gamba, mi chiedevo: perché proprio a me?”

Roberta Pedrelli, cesenate (della frazione di Calisese), classe 1979, in questi giorni è alle Paralimpiadi di Tokyo. L’abbiamo raggiunta via email perché ci raccontasse qualcosa di sé.  “Nel 2012 – dice l’atleta paralimpica -, qualche mese dopo aver partorito la mia bambina, mi diagnosticarono un sarcoma dei tessuti molli, un tumore alla coscia. Negli anni hanno cercato di salvare l’arto facendo diversi cicli di chemioterapia, di radioterapia e diversi interventi chirurgici”. Nel 2016, “quando mi dissero che ormai non sarebbero più riusciti a salvare la gamba e dovettero amputare l’arto per provare a fermare la malattia, mi passarono per la testa migliaia di pensieri – racconta Pedrelli -. Mi chiedevo: perché proprio a me? Come avrei potuto vivere con una gamba e che non ce l’avrei mai fatta a superare quel momento. Cercavo di immaginare il futuro: a come avrei fatto a fare una passeggiata, un giro in bicicletta. Niente e nessuno poteva consolarmi. Ero arrabbiata col mondo intero e poi la mia paura più grande era quella che la mia bambina avrebbe potuto perdere la sua mamma. Poi, grazie alla mia famiglia e alla cooperativa Asso dove lavoro che mi sono stati tanto vicini, sono riuscita ad attraversare quel momento terribile”.

Come è arrivata al sitting volley?
Sono arrivata al sitting volley qualche mese dopo. Mi trovavo a Bologna al centro protesi. Mi chiesero se praticavo sport. Subito risposi di no. Fu in quel momento che mi parlarono di questo sport, la pallavolo da seduti per disabili e disciplina paralimpica. Mi dissero anche che proprio nella mia adorata Cesena il Volley Club Cesena aveva già da tre anni una squadra di sitting volley.

Che significato ha avuto per lei?
Il sitting volley è stato la mia valvola di sfogo. Mi ha aiutata a ricordare a me stessa che non sono peggiore degli altri, ma semplicemente diversa.

Quali i costi e i sacrifici per praticare questo sport?
I sacrifici sono tanti, perché comunque il sitting volley non è la mia professione. Ho il mio lavoro che mi impegna abbastanza e ho la mia famiglia che per fortuna mi supporta e mi appoggia perché sa che il sitting volley mi ha aiutato ad affrontare la mia amputazione e ora sto vivendo questo sport e questo momento come un mio riscatto personale.

Come ha accolto la notizia della convocazione per Tokyo?
La convocazione per Tokyo è stata un’esplosione di gioia, di incredulità da parte di tutta la squadra. Non avrei pensato di poter partecipare a una Paralimpiade. Ad oggi posso ritenermi la persona più fortunata di questo mondo. Non smetterò mai di ringraziare il Volley Club Cesena con tutta la squadra, la Cooperativa Asso e tutta la mia famiglia.

Che programmi ha per il futuro?
Per il futuro non ho programmi. Ho imparato a non farne più. Cerco di vivere al meglio ogni singola giornata. Poi si vedrà cosa la vita mi vorrà ancora riservare.

(*) Corriere Cesenate

 

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