Giornata nazionale in memoria delle vittime della pandemia, il dovere di non dimenticare e non ripetere gli errori

La legge che istituisce per il 18 marzo la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di Coronavirus” è stata effettivamente approvata a poche ore dalla sua prima edizione. È stata la commissione affari costituzionali del Senato, riunita “in sede deliberante” e all'unanimità, a dare il via libera definitivo dopo che il relativo disegno di legge era stato approvato dalla Camera il 23 luglio 2020. Il varo in extremis non deve trarre in inganno: non c'era alcun dubbio sull'esito dell'iter della proposta che unificava quelle presentate dai vari gruppi parlamentari. Unanime era stato anche il voto dell'Aula di Montecitorio nella scorsa estate, uno dei pochi momenti prima dell'era Draghi in cui i partiti erano stati in grado di manifestare quello spirito unitario che la situazione avrebbe richiesto sin dall'inizio e che il Capo dello Stato ha sistematicamente richiamato e testimoniato.

Indispensabili infermieri - fotografie dall’Ospedale di Santa Maria Nuova, l'Ospedale più antico del mondo © Massimo Sestini

La legge che istituisce per il 18 marzo la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di Coronavirus” è stata effettivamente approvata a poche ore dalla sua prima edizione. È stata la commissione affari costituzionali del Senato, riunita “in sede deliberante” e all’unanimità, a dare il via libera definitivo dopo che il relativo disegno di legge era stato approvato dalla Camera il 23 luglio 2020. Il varo in extremis non deve trarre in inganno: non c’era alcun dubbio sull’esito dell’iter della proposta che unificava quelle presentate dai vari gruppi parlamentari. Unanime era stato anche il voto dell’Aula di Montecitorio nella scorsa estate, uno dei pochi momenti prima dell’era Draghi in cui i partiti erano stati in grado di manifestare quello spirito unitario che la situazione avrebbe richiesto sin dall’inizio e che il Capo dello Stato ha sistematicamente richiamato e testimoniato. In un anno di lotta al Covid il Paese ha dovuto affrontare persino una crisi di governo. Adesso che con i vaccini l’uscita del tunnel sembra realmente a portata di mano, nonostante le difficoltà di percorso, il Covid continua mietere vittime a centinaia. Non assistiamo più a scene epocali come quella delle bare sui camion militari, a Bergamo – circostanza che la data del 18 marzo esplicitamente evoca – ma il prezzo di vite umane continua a essere altissimo, mentre gli italiani devono sobbarcarsi con “pazienza infinita” (parole di Draghi) ulteriori sacrifici. È in arrivo il “decreto sostegno” che utilizza i 32 miliardi chiesti al Parlamento dal precedente esecutivo per tamponare le conseguenze economico-sociali della pandemia e già si parla di un nuovo scostamento di bilancio per finanziare ulteriori interventi, magari contestualmente al Documento di economia e finanza che ad aprile dovrà tracciare le coordinate della futura legge di bilancio vera e propria. Qui il discorso si intreccia con quello del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la concretizzazione italiana della grande operazione europea del Next Generation Eu, su cui il governo Draghi è chiamato a una sfida strategicamente decisiva per il futuro del Paese.
Le urgenze del presente e del futuro non incoraggiano bilanci consuntivi. Ma la Giornata delle vittime richiama il dovere di non dimenticare e di far tesoro del passato per raccogliere tutto ciò che di buono è stato fatto e per non ripetere gli errori. Sul piano politico-istituzionale un contributo prezioso e scevro da letture di parte arriva da una sentenza depositata pochi giorni fa dalla Corte costituzionale. Il dispositivo era già stato anticipato in precedenza, ma è dall’insieme delle motivazioni che si possono ricavare utili elementi di riflessione.

Innanzitutto il merito della sentenza: la Consulta, su ricorso della presidenza del Consiglio (all’epoca con Conte a Palazzo Chigi), ha dichiarato incostituzionali alcune norme di una legge regionale della Valle d’Aosta che introducevano regole anti-contagio difformi da quelle nazionali. È il secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione che inserisce la “profilassi internazionale” tra le materie in cui la legislazione statale ha competenza esclusiva.

Da questo discende che la lotta alla pandemia è compito dello Stato e le Regioni hanno soltanto la competenza amministrativa che viene loro riconosciuta dalla legge nazionale, non da autonome attribuzioni costituzionali, fermo restando il dovere di “leale collaborazione” tra istituzioni.

Se si pensa a quanto è stato problematico il comportamento di molte Regioni rispetto alla necessaria “unità e uniformità di decisione” (come diceva al Sir il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, già nell’aprile 2020), emerge chiaramente il peso negativo di questo costante conflitto con il governo centrale nella gestione del contrasto al virus, sin dagli inizi della pandemia.

Altro grande nodo politico-istituzionale oggetto fino ad oggi di una polemica esasperata è stato l’utilizzo dei dpcm, i decreti del presidente del Consiglio dei ministri, per dettagliare le misure anti-contagio introdotte con decreto-legge. Dalle argomentazioni della sentenza si evince che per la Corte tale utilizzo è compatibile con il quadro tracciato dalla Costituzione, tanto più che i dpcm sono “comunque assoggettati al sindacato del giudice amministrativo” e quindi non sono esenti da ogni controllo come pure veniva dichiarato nel dibattito politico.
I chiarimenti della Consulta, oltre al loro intrinseco valore giuridico, aiutano a rileggere l’anno trascorso senza i filtri deformanti della propaganda. E in questo senso potrebbero contribuire a un clima politico meno conflittuale, premessa di quello spirito unitario che la memoria delle vittime del Covid richiede a tutti gli italiani e in primo luogo a coloro che hanno responsabilità pubbliche.

Altri articoli in Italia

Italia