Per non cadere nel sonno della ragione

Sono innumerevoli le testimonianze dirette della della Shoah, ma altrettante sono quelle che ci sono giunte attraverso la letteratura, la saggistica, la musica, il cinema. “Scrivilo. Scrivilo. Con inchiostro comune/ su carta comune: non gli fu dato da mangiare,/ morirono tutti di fame. Tutti? Quanti?/ E’ un grande prato. Quant’erba/ è toccata a testa? Scrivi: non lo so”. La memoria è anche quella di chi, come la grande poetessa polacca Wisława Szymborska, invitava chi poteva a ricordare attraverso il racconto e la scrittura, per evitare la negazione e la rimozione

“Scrivilo. Scrivilo. Con inchiostro comune/ su carta comune: non gli fu dato da mangiare,/ morirono tutti di fame. Tutti? Quanti?/ E’ un grande prato. Quant’erba/ è toccata a testa? Scrivi: non lo so”. Non solo le testimonianze dirette: la memoria è anche quella di chi, come la grande poetessa polacca Wisława Szymborska, invitava chi poteva a ricordare attraverso il racconto e la scrittura, per evitare la negazione e la rimozione.

Un semplice imperativo, diretto a se stessa e a tutti gli altri: “scrivilo”.

Un po’ come un’altra donna, Etty Hillesum, che non solo è stata testimone, ma anche vittima, e vittima consapevole, perché poteva salvarsi, e invece scelse di condividere con gli altri il destino senza senso, accettando di essere rinchiusa nella stazione di rastrellamento di Westbork, in Polonia. Una condivisione finale che avrebbe avuto il suo compimento nel 1943. Ebbene, Etty aveva capito che la retorica non sarebbe servita a nulla, anzi: “Il mio fare consisterà nell’essere (…). Dobbiamo dimenticare tutti i nostri paroloni”. La sua cultura, la contiguità e frequentazione della scuola di Jung di fronte alla sofferenza inaudita le rivelavano la loro inutilità: solo l’azione e la preghiera rimanevano come collegamento con il Senso.e non a caso una sua frase (che possiamo leggere in “H. Hillesum. Il bene quotidiano”, San Paolo, a c. di L. Gobbi) ancora oggi colpisce per l’abissalità vicina al silenzio assoluto: “Dio e io, adesso, siamo rimasti del tutto soli. Buona notte”.

Ma la Memoria arriva da dove non ti aspetteresti, ad esempio un romanzo apparentemente d’amore e che invece narra l’olocausto come estrema testimonianza di un sentimento mai espresso in vita: il no di Micòl nel “Giardino dei Finzi-Contini” (1962) di Giorgio Bassani salva il suo innamorato, perché gli impedisce di frequentare la sua casa e di essere trascinato ad Auschwitz come accade a lei e a tutta la sua famiglia.
Le “Voci dalla Shoah”, con il sottotitolo “Testimonianze per non dimenticare” furono pubblicate dalla Nuova Italia: portavano all’attenzione di studenti, docenti, lettori le testimonianze dirette di Goti Bauer, Liliana Segre, Nedo Fiano, Oliver Lustig, che ricordavano come davvero avesse operato quella “banalità del male” di cui aveva scritto la filosofa Hannah Arendt. Al processo contro uno dei protagonisti della soluzione finale, Eichmann, emerse non la figura di un superuomo alla Nietzsche, che volava alto al di là del bene e del male, ma un impiegato che riceveva e eseguiva ordini con scrupolo e diligenza: solo che erano ordini di massacro di bambini, vecchi, donne e uomini, colpevoli di essere diversi, ebrei, omosessuali, zingari, oppositori politici. Ragazzini mandati a morire, fatti fuori nelle camere a gas o dalle malattie, come nel caso della sedicenne Anna Frank, il cui Diario è divenuto il simbolo della tragedia e della Memoria che sola può salvare. Senza dimenticare un altro protagonista della memoria diretta dell’olocausto, Primo Levi, che ha raccontato la sua personale esperienza in “Se questo è un uomo” (1947).

Anche la canzone ha contribuito alla persistenza anche tra i più giovani della Memoria: quella “Auschwitz” che dal 1966 tutti i ragazzi di allora hanno suonato con la chitarra dopo l’uscita del disco dell’Equipe 84. Nell’etichetta del 45 giri i nomi degli autori erano un tal Lunero e Maurizio Vandelli, voce del gruppo: il suo autore, Francesco Guccini, non poteva firmare perché non iscritto alla Siae, ma rimise a posto le cose nel 1967 quando la incise con il titolo “La canzone del bambino nel vento”. Anche qui il cantautore bolognese doveva molto a un libro: la memoria diretta di Mauthausen divenuta racconto con Vincenzo Pappalettera, “Tu passerai per il camino”, pubblicata da Mursia e vincitore del prestigioso premio Bancarella nel 1966.

Per non parlare del cinema: solo per fare un nome, quella “Lista di Schindler” di Spielberg che è stato un successo planetario, facendo tra l’altro incetta di Oscar, e che una volta tanto ha messo d’accordo critica e pubblico.
Solo pochi esempi di una Memoria che ha continuato ad accompagnare l’umanità per scongiurare il sonno della ragione.

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