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Vaccino antinfluenzale. Maio (Fimmg): “Dosi insufficienti. Servono migliore programmazione e cabina di regia centrale”

L'attuale sistema delle gare d'acquisto su base regionale non funziona. Servono governance centrale; programmazione - coinvolgendo anche i medici di famiglia -  e acquisto dei vaccini in tempo utile; loro distribuzione equa e razionale alle regioni sulla scorta delle necessità della popolazione. Non ha dubbi la dottoressa Tommasa Maio, responsabile area vaccini della Federazione italiana medici di medicina generale, con la quale abbiamo fatto il punto sulla situazione vaccino antinfluenzale alla luce delle difficoltà, dei ritardi e delle carenze di questi giorni in diverse regioni

(Foto ANSA/SIR)

Mentre il mondo è in attesa del vaccino anti-Covid, l’Italia è alle prese con la mancanza del vaccino antinfluenzale, di fatto introvabile in molte regioni presso i medici di base, pressati ogni giorno dalle richieste dei pazienti. Particolarmente critica la situazione in Lombardia, ma anche in Liguria e in vaste aree del Lazio, tra cui Roma. Sembrano andare meglio le cose in Puglia, Campania, Emilia-Romagna e Toscana. Che cosa è successo? Era prevedibile che quest’anno, con l’emergenza Covid, la richiesta di profilassi antinfluenzale, oltretutto fortemente raccomandata dal ministero della Salute ed estesa anche alla fascia 60–64 anni, avrebbe subito un’impennata di fronte alla quale era importante farsi trovare preparati. In un comunicato l’Aifa annuncia che le dosi disponibili sono “oltre 17 milioni” contro “i 12,5 milioni del 2019”. Sono sufficienti? Da che cosa dipende, allora, questa carenza? Lo abbiamo chiesto a Tommasa Maio, medico di medicina generale nella provincia di Novara e e responsabile dell’area vaccini della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale).

“Nel nostro Paese – esordisce – gli anziani e i pazienti fragili o con malattie croniche, indipendentemente dall’età, sono già 16 milioni. A questi aventi diritto occorre aggiungere il personale sanitario e di polizia, i bambini tra i sei mesi e sei anni, le donne in gravidanza, i veterinari e gli allevatori di animali. C’è stato sicuramente un aumento degli acquisti di dosi ma non in numero sufficiente:

il rischio è che molti aventi diritto restino esclusi.

Non bisogna tuttavia seminare il panico tra la popolazione: la copertura delle situazioni più critiche verrà sicuramente garantita; occorre però riconoscere che queste scelte sono state fatte in maniera frammentaria da parte delle regioni che, nonostante noi avessimo lanciato l’allarme già lo scorso marzo, sono partite tardissimo e in ordine sparso.

Non si potrebbe creare una cabina di regia centrale, unica a livello nazionale, con il compito di prevedere i bisogni anno per anno e pianificare in tempo l’acquisto?
E’ la proposta che avevamo fatto già da marzo e continuiamo a ribadire, e che in una fase emergenziale come questa ha ancora più senso: l’urgenza di definire una governance centrale, di acquistare i vaccini in tempo e di razionalizzarne la distribuzione sulla scorta delle necessità delle regioni in base alla popolazione e alle caratteristiche. In Italia, a differenza dei Paesi europei che si muovono a livello nazionale, le gare d’acquisto avvengono invece da parte dei servizi sanitari regionali che poi, attraverso le farmacie territoriali o i distretti, secondo la loro organizzazione, redistribuiscono le dosi ai medici di base. Quando nel 2009 si aspettava la pandemia H1N1, i vaccini vennero acquistati dalla Protezione civile e poi distribuiti. Perché non ripetere quell’esperienza? In termini di gare, un conto è un Paese intero che si confronta sull’acquisto con omologhi europei; un conto una regione, magari piccola e poco popolosa come il Molise. Ma si immagina il Molise a competere con la Germania? Davide contro Golia. Inoltre, con l’acquisto di quantitativi importanti a livello nazionale, si riuscirebbe anche a spuntare un prezzo più vantaggioso.

Quale medico di base, come sta vivendo personalmente questa situazione?
Avrei dovuto ricevere 100 dosi ma me ne arriveranno 50. La cosa peggiore è il trovarsi di fronte alla delicatissima scelta di dover decidere chi vaccinare e chi no, in base a patologie e quadri clinici, rinviando la vaccinazione per alcuni, senza avere però la certezza di poterle fare in seguito. La necessità di creare un criterio per l’assegnazione dei vaccini è una situazione drammatica che non dovrebbe mai verificarsi.

C’è un dato nazionale sui vaccini ad oggi somministrati?
Al momento no. L’unico dato ufficiale è quello sulle dosi potenzialmente acquistate che lei ha citato, oltre 17 milioni. Noi medici di famiglia stiamo facendo un grande sforzo lavorando intensivamente per completare le somministrazioni della prima fornitura e poter quindi ricevere la successiva ma, mi creda, le misure di precauzione da adottare a causa del Covid tra bardature, appuntamenti distanziati, sanificazione, richiedono organizzazione e allungano i tempi. C’è però una nota positiva.

Quale?
La campagna non è ancora chiusa; abbiamo ottenuto che in tutte le regioni non si chiuda il 31 dicembre, data limite negli anni precedenti per il ritiro dei vaccini. Abbiamo chiesto che rimanga aperta e stiamo facendo pressioni come singoli medici, nel mio caso sulle farmacie territoriali, in altri casi sui distretti, per avere il maggior numero possibile di dosi. Tuttavia, se a monte una regione non ha acquistato abbastanza vaccini la catena si incepperà. Le regioni che hanno programmato male si trovano oggettivamente in grande difficoltà.

Alcuni anziani sono stati messi “in attesa” dal proprio medico di base, sprovvisto del vaccino adatto a loro. Come mai?
In termini di appropriatezza esistono due tipologie di vaccini antinfluenzali, il quadrivalente e il trivalente. Quest’ultimo è “adiuvato”, ossia contiene una molecola che aiuta a potenziare la risposta immunitaria alla vaccinazione. Per questo le linee guida consigliano il primo per gli under 65, e l’”adiuvato” per le persone anziane che hanno un sistema immunitario meno reattivo. In alcune regioni, però, è stato distribuito solo il quadrivalente e molti medici di famiglia lo stanno somministrando a tutti.

Quest’anno era stato fortemente consigliato anche il vaccino antipneumococcico.
E’ importante discriminare tra i sintomi di Covid e quelli delle malattie influenzali, assolutamente sovrapponibili. Su un paziente vaccinato, questi sintomi aumentano il rischio che possa trattarsi di Covid. Per questo abbiamo fatto un appello a vaccinare non solo per l’antinfluenzale ma anche contro la polmonite da pneumococco – ma sembra manchino le dosi anche di questo – e stiamo cercando di portare avanti richiami per gli adulti contro antitetanica, difterica e pertosse. Vediamo molta pertosse negli adulti, sintomo che si potrebbe attribuire al Covid.

Di questo scenario, che cosa la preoccupa di più?
Il fatto che a causa della cattiva programmazione di alcune regioni,

non tutte le persone in condizioni di fragilità potranno, ancora una volta, avere la stessa opportunità di salute.

Non si può ledere il diritto di un anziano o di un giovane cronico con il diabete o che ha avuto un infarto, a ricevere gratuitamente un presidio di salute solo perché vive in un’area geografica piuttosto che in un’altra. Ribadisco: serve una cabina di regia unica; occorre una programmazione tempestiva con il coinvolgimento dei professionisti che poi devono somministrare direttamente le vaccinazioni ai cittadini e una razionalizzazione del loro utilizzo dando le dosi ad altri colleghi nel momento in cui la loro disponibilità fosse eccedente rispetto al proprio fabbisogno. Occorre soprattutto capacità di ragionare in termini di prevenzione vaccinale. Investire di più in vaccini significa avere meno costi legati a ricoveri, giorni di degenza e malattia; significa soprattutto salvaguardare il diritto alla salute di tutti.

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