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Una rompiscatole che ci mancherà. Addio a Quino, il papà di Mafalda

La morte di Quino, il creatore della terribile Mafalda lascia un grande vuoto. Il fatto è che Mafalda non faceva la politica di professione, ma la rompiscatole: aveva sempre da ridire su tutto, trovando le crepe e i punti deboli nelle affermazioni dei suoi interlocutori. Ma era una rompiscatole simpatica, perché in fondo era sola: quale ragazzetto si sarebbe mai innamorato di una che trovava una cattiva parola su tutto, e che in fondo operava una valutazione filosofica come quando chiese alla madre che stava lavando quintali di piatti e pentole che cosa avrebbe fatto se solo avesse potuto vivere?

(Foto ANSA/SIR)

“Mafalda è un’eroina arrabbiata che rifiuta il mondo così com’è”, scriveva Umberto Eco sull’icona creata da Quino, al secolo Joaquin Salvador Lavado, scomparso il 30 settembre a 88 anni. Nato a Mendoza, in Argentina, Quino si rivelò prestissimo un disegnatore compulsivo che pian piano divenne uno dei più importanti, dagli anni Cinquanta in su. Tra l’altro dopo il golpe militare del 1976 è venuto per un certo periodo ad abitare in Italia, perché, come amava dire, la sua Mafalda, sempre incavolata e ipercritica, sarebbe diventata una desaparecida.

Per fortuna Mafalda, nata nel 1962, non è rimasta a fare la pubblicità per le lavatrici, per cui era stata concepita: già da allora le sue battute al vetriolo e la sua vocazione di rompiscatole avevano fatto storcere il naso al committente, il patron delle lavatrici Mansfield. Poi la ragazzina diventò cittadina adottiva di Buenos Aires, apparendo sulle autorevoli pagine di El Mundo, e subito dopo si trasformò in una diva assoluta del fumetto. Se il suo creatore la classificava come una vera e propria antagonista politica, una ragione doveva pur esserci: ma se è per questo non si dovette aspettare la dittatura militare argentina, perché anche il franchismo spagnolo la ridusse al silenzio.

Il fatto è che Mafalda non faceva la politica di professione, ma la rompiscatole:

aveva sempre da ridire su tutto, trovando le crepe e i punti deboli nelle affermazioni dei suoi interlocutori. Ma era una rompiscatole simpatica, perché in fondo era sola: quale ragazzetto si sarebbe mai innamorato di una che trovava una cattiva parola su tutto, e che in fondo operava una valutazione filosofica come quando chiese alla madre che stava lavando quintali di piatti e pentole che cosa avrebbe fatto se solo avesse potuto vivere? Mafalda è una bambina che incarna lo spirito della generazione sessantottina, anche se lei era nata cinque anni prima, ma senza le sue derive ideologiche e politiche. La sua contestazione del sistema è, tutto sommato, legata al buon senso, anzi, alla ricerca del senso stesso di una vita trascorsa tra ripetizioni e automatismi. Era la compagna di banco che non si entusiasmava troppo delle “scoperte” dei suoi coetanei, che faceva la doccia fredda agli entusiasmi troppo ingenui, stimata magari per la sua intelligenza critica, ma destinata a rimanere zitella a vita. Perché vedere sempre il lato critico di ogni umana realtà può essere depressivo. Ma la bambina terribile non era nata per crescere, sposarsi e sfornare marmocchi. Assieme a Linus e Lucy, che somiglia parecchio alla sua sorellina più piccola (Lucy era nata una decina di anni prima) e al preistorico BC, ha rappresentato l’icona, anzi dovremmo dire le icone, per la sua costante presenza negli anni, di generazioni e generazioni di ragazzi e adulti che compravano i “suoi” diari o leggevano i “suoi” fumetti.
Solo la costruzione adulta di un immaginario infantile? No. Basta ascoltare le battute fulminanti o le domande abissalmente – e inconsapevolmente – profonde dei bambini reali per capire che Mafalda non è stata solo una costruzione intellettuale, ma l’epicentro dei movimenti sismici del cuore e della mente.

Ci voleva una ragazzina rompiscatole per realizzare quello che sognava il nostro Pascoli, l’incontro tra l’uomo adulto e il bambino che è in noi.

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