Referendum. Onida (Presidente emerito Corte costituzionale): “Voto sì. Non si tratta di una riforma così divisiva come viene presentata”

“Non si tratta di una riforma così divisiva come viene presentata. Non mette in gioco valori fondamentali, non stravolge gli equilibri costituzionali”. Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, si è pubblicamente espresso a favore del Sì nel referendum sulla riforma che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. Ma tiene a sottolineare che non condivide il clima di contrapposizione esasperata che si è creato tra i sostenitori delle due diverse opzioni. E auspica che si vada verso una nuova legge di tipo proporzionale.

(Foto ANSA/SIR)

“Non si tratta di una riforma così divisiva come viene presentata. Non mette in gioco valori fondamentali, non stravolge gli equilibri costituzionali”. Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, si è pubblicamente espresso a favore del Sì nel referendum sulla riforma che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. Ma tiene a sottolineare che non condivide il clima di contrapposizione esasperata che si è creato tra i sostenitori delle due diverse opzioni.

Qual è l’argomento principale che l’ha indotta a esprimersi a favore della riforma?
L’argomento fondamentale è che

non si tratta di una riforma che viene dal di fuori delle istituzioni.

La legge costituzionale sottoposta a referendum è stata approvata quattro volte dal Parlamento e nella seconda deliberazione della Camera ha ottenuto quasi l’unanimità. Paradossalmente, proprio il respingerla potrebbe essere considerato un attacco al Parlamento.

L’obiezione più forte che viene rivolta alla riforma è che riducendo il numero dei parlamentari viene ridotta la rappresentanza.
In un Paese con 60 milioni di abitanti e oltre 50 milioni di elettori, qualche centinaio di eletti in più o in meno incide molto poco in termini di rappresentanza. Questa dipende piuttosto dalla qualità dei parlamentari e dal rapporto di fiducia tra le istituzioni e i cittadini. E in questo rapporto un ruolo fondamentale lo svolgono i partiti e le grandi organizzazioni sociali. Non siamo più ai tempi del suffragio ristretto, è illusorio puntare sulla diretta conoscenza del candidato in un Paese con decine di milioni di elettori.

Nel caso in cui la riforma venga confermata dagli elettori si parla di introdurre alcuni correttivi per compensare gli effetti della riduzione dei parlamentari. Per esempio riducendo anche il numero dei delegati regionali che partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica o eliminando il criterio regionale nelle elezioni del Senato. Lei è d’accordo?
La partecipazione dei delegati regionali si fonda sull’idea che il Presidente della Repubblica debba essere eletto non solo sulla base del consenso del Parlamento ma di un più ampio consenso nel Paese. Sono quindi contrario a ridurre il loro numero. Tanto più che attualmente sono tre per Regione e al di sotto di questa soglia sarebbe praticamente impossibile assicurare l’equilibrio fra rappresentanza delle maggioranze e delle minoranze regionali. Quanto all’elezione su base regionale del Senato, eliminarla vorrebbe dire rinunciare quasi definitivamente all’idea che il Senato esprima in qualche modo l’articolazione regionale dello Stato. Mi sembra invece sensato – per stare alle riforme di cui si sta discutendo in Parlamento – parificare i requisiti dell’elettorato attivo e passivo tra Camera e Senato. Ma questo non c’entra con il numero dei parlamentari.

Con meno parlamentari ritiene che sia necessario modificare la legge elettorale?
Mi sembra auspicabile che si vada verso una nuova legge di tipo proporzionale, ma non per la riduzione del numero dei parlamentari, quanto perché sarebbe una soluzione più adeguata alla concreta situazione politica del Paese. Anche introducendo un’opportuna soglia di sbarramento per contemperare le esigenze del principio di rappresentanza con quelle del principio di governabilità.

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