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Migranti, proteste in Calabria e navi-quarantena. Forti (Caritas): “Stesse procedure sanitarie per tutti”

"Noi speravamo che il Covid avesse contribuito ad attenuare questo tipo di atteggiamenti, invece sembra che non ci abbia insegnato nulla. Di fronte a queste esternazioni capiamo che c’è ancora tanta acredine sul tema": a parlare è Oliviero Forti, responsabile dell'area immigrazione di Caritas italiana, dopo le proteste degli abitanti di Amantea, in Calabria, per la presenza di alcuni migranti positivi al Covid-19

(Foto ANSA/SIR)

Dopo le proteste degli abitanti di Amantea, in Calabria, contro la presenza di 28 migranti dal Bangladesh tra cui alcuni positivi al Covid-19 la prefettura di Cosenza ha deciso di schierare l’esercito per garantire la sicurezza della struttura in cui sono ospitati. A livello ministeriale si sta decidendo se approntare una seconda nave-quarantena per i migranti salvati nel Mediterraneo. “Le navi-quarantena, che comunque hanno dei costi molto elevati per il contribuente, hanno un senso se ci sono condizioni tali che giustificano il fatto che rimangano in mare”, commenta al Sir Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas italiana. In una situazione di pandemia generalizzata, osserva, “essendo tutti nella stessa barca dovremmo avere le stesse possibilità. Invece per alcuni è meglio fare la quarantena in nave, per altri a casa. Sarebbe più logico che anche per gli immigrati ci fosse una casa di accoglienza per fare la quarantena come tutti gli altri”.

Oliviero Forti, Caritas italiana

Gli abitanti di Amantea protestano perché temono che la presenza di migranti positivi al Covid-19 potrebbe avere ripercussioni sul turismo. Dicono che già sono arrivate le prime disdette.

La lamentela sul turismo che viene minacciato dalla presenza degli immigrati fa pensare a Lampedusa, anche se poi i dati reali non confermavano il calo del turismo a causa degli sbarchi. Quindi anche la situazione calabrese è tutta da verificare.

Siamo in una pandemia generalizzata che riguarda tutti, italiani e stranieri.

Per cui è segno di grande responsabilità da parte delle istituzioni nazionali e regionali garantire una procedura sanitaria corretta per chiunque. E questo sembra ci sia stato, visto che gli immigrati sono stati inseriti in una struttura per fare la quarantena. Una volta che il periodo terminerà e risulteranno negativi non ci sono ragioni per preoccuparsi.

Si sta decidendo se predisporre o meno una nuova nave-quarantena, in aggiunta a quella al largo di Porto Empedocle. Una soluzione giusta?

Le navi-quarantena, che comunque hanno dei costi molto elevati per il contribuente, hanno un senso se ci sono condizioni tali che giustificano il fatto che rimangano in mare. Dal punto di vista sanitario è giustificabile e comprensibile se la situazione sul territorio è di lockdown, c’è una psicosi e una fragilità collettiva. Ma oggi se si organizza tutto in sicurezza non c’è un problema di gestione. Il personale sanitario rischia sia sulla nave sia in terra. A Fiumicino se una persona arriva positiva non viene messa in un aereo-quarantena ma viene invitata a fare la quarantena a casa e magari nel tragitto incontrerà altre persone. Al contrario i migranti sono più tutelati perché c’è un cordone di sicurezza che li porta fino alla struttura, mantenendo le  distanze.  Ma se non c’è una motivazione reale e

se tutto fosse gestito come avviene negli aeroporti per gli stranieri che arrivano positivi, le procedure dovrebbero essere le stesse.

Intanto la governatrice della Calabria minaccia di vietare gli sbarchi: è fattibile giuridicamente?

Le competenze sugli sbarchi e sull’accoglienza sono del governo e delle prefetture, il governatore dovrebbe fare un atto di forza. Vedremo cosa deciderà il ministro dell’Interno. In una situazione come quella di Lampedusa ci può anche stare una nave-quarantena perché mancano gli spazi fisici ma in Calabria qual è il motivo per metterla in mare? Forse anche nella sanità pubblica c’è un problema di percezione e di paura diffusa che se non si sa gestire in altro modo? Importante è la salvaguardia dei migranti e della popolazione e il rispetto delle procedure.

Il grande timore è invece quello di dover vedere di nuovo i discorsi politici sulla pelle dei migranti.

Dall’inizio della pandemia ad oggi non mi sembra ci siano state situazioni legate alla presenza di cittadini stranieri che abbiano destato particolare preoccupazione. Anche nei nostri centri abbiamo registrato pochissimi casi di contagi, anche più bassi della media nazionale.

La sensazione è che per tanti mesi si è stati in silenzio per paura del contagio e con la riapertura ricominciano i soliti discorsi sull’invasione.

Sì è come se fossimo stati per qualche mese “composti”, evitando di alzare i toni perché era una situazione difficilissima per tutti. Ora che ci stiamo affacciando ad una situazione più gestibile emerge nuovamente la vecchia narrazione, che orienta il discorso politico sui migranti come bersaglio. Una narrativa che vuole vederli come pericolosi. Noi speravamo che il Covid avesse contribuito ad attenuare questo tipo di atteggiamenti, invece sembra che non ci abbia insegnato nulla. Di fronte a queste esternazioni e provvedimenti capiamo che c’è ancora tanta acredine sul tema.

All’inizio gli untori erano i cinesi, poi siamo stati noi italiani, ora ricominciano ad essere gli immigrati?

Sembra quasi che ci sia una esigenza antropologica di dover cercare a tutti i costi il capro espiatorio, la causa dei nostri mali, quando invece una causa reale del Covid-19 non si è ancora scoperta. Siamo solo consapevoli che dobbiamo superare l’emergenza insieme. Ma questo “insieme” fatica ad entrare nel discorso pubblico e nella mente delle persone. Di fronte ad una situazione di questo tipo non ci deve essere una distinzione tra italiani, immigrati, ricchi o poveri. Invece nel momento in cui si intravede un barlume di normalità riemergono tutte le vecchie fragilità.

Allora non è vero che “siamo tutti nella stessa barca”?

Sembra di no: per alcuni è meglio fare la quarantena in nave, per gli italiani a casa. Sarebbe più logico che anche per gli immigrati ci fosse una casa di accoglienza per fare la quarantena come tutti gli altri. Essendo tutti nella stessa barca dovremmo avere le stesse possibilità.

Sembra che l’esigenza di salvare le vite dei migranti sia meno importante del turismo. Se i positivi fossero stati turisti italiani, lombardi ad esempio, avremmo visto le stesse scene di tensione?

Non credo. In più mi chiedo:

se fossero stati lombardi o italiani delle regioni del nord avrebbero previsto una nave-quarantena?

Il turismo che porta soldi viene da quelle zone. Si fa sempre una distinzione, purtroppo.

A Lampedusa sono arrivati diversi barchini in autonomia. C’è un aumento degli sbarchi o siamo nella norma?

Siamo nella norma. Stiamo vivendo una situazione che dura da 20 anni, con numeri diversi da un anno all’altro. Non siamo di fronte ad una emergenza. Si sta gestendo tutto bene, è il tasso naturale di ingressi con cui dobbiamo fare i conti. Se poi diventa ogni volta un elemento per lo scontro politico è un altro discorso. Certo è più faticoso perché il Covid è in Italia, nei Paesi di transito e di partenza. Importante è tutelare la salute di tutti, sia dei nostri figli in spiaggia sia delle persone che arrivano dal mare.

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