Il “Cantico” di Benigni a Sanremo. Un atto di coraggio ma perplessità per preconcetti “complottistici e romantici”

Una volta spenti i riflettori sul Festival di Sanremo di quest’anno, a mente più serena, si può recuperare un ricordo che ai credenti non è certo passato inosservato: il commento e la lettura del “Cantico dei Cantici” da parte di Roberto Benigni. L’attesa per la sua partecipazione al Festival era grande e non sono ovviamente mancati nemmeno i commenti successivi alla sua performance. Basta fare un semplice giro sul web, per trovare pareri di figure autorevoli della cultura, del mondo dello spettacolo, del giornalismo e persino della politica; ma non sono mancati nemmeno commenti più o meno pubblici, in blog o chat, nei quali i toni pacati e le analisi distaccate hanno ceduto all’entusiasmo, all’ironia e persino ad opinioni forti pro o contro. Sull’esibizione di Benigni pubblichiamo la riflessione di mons. Valentino Bulgarelli e don Dionisio Candido

Sull’intervento di Roberto Benigni a Sanermo, dedicato al “Cantico dei Cantici” proponiamo una riflessione scritta a quattro mani da mons. Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechestico nazionale (Ucn), e da don Dionisio Candido, responsabile del Settore Apostolato biblico dell’Ucn, sotto forma di intervista.

Una volta spenti i riflettori sul Festival di Sanremo di quest’anno, a mente più serena, si può recuperare un ricordo che ai credenti non è certo passato inosservato: il commento e la lettura del “Cantico dei Cantici” da parte di Roberto Benigni.
L’attesa per la sua partecipazione al Festival era grande e non sono ovviamente mancati nemmeno i commenti successivi alla sua performance. Basta fare un semplice giro sul web, per trovare pareri di figure autorevoli della cultura, del mondo dello spettacolo, del giornalismo e persino della politica; ma non sono mancati nemmeno commenti più o meno pubblici, in blog o chat, nei quali i toni pacati e le analisi distaccate hanno ceduto all’entusiasmo, all’ironia e persino ad opinioni forti pro o contro l’esibizione di Benigni.

Qual è stato il primo pensiero, quando ho capito che Benigni avrebbe parlato del Cantico?

La prima sensazione, probabilmente condivisa da molti, è stata lo stupore

per la scelta stessa di Benigni: parlare al pubblico di Sanremo di un libro della Bibbia. Mi sono stupito, ma al contempo ho apprezzato molto Benigni per il coraggio di quella decisione. Che si sia trattata una di una scelta coraggiosa e delicata anche per lui lo dimostra un fugace passaggio all’inizio del suo intervento, quando en passant si è sentito quasi in dovere di rassicurare il pubblico dell’Ariston e a casa: “Non vi impaurite. È un libro della Bibbia, sacro, bellissimo e si chiama ‘Cantico dei Cantici’”.

In che senso Benigni è stato coraggioso?
Se ci mettiamo nei panni di un comico, premio Oscar, da cui tutti si aspettano uno sketch leggero, che faccia ridere o almeno sorridere soprattutto sulle questioni di attualità, si può pensare che la sua scelta sia ancor più da ammirare. Ha deciso di smarcarsi dal cliché del comico tradizionale ed ha esplorato il genere letterario delicato della riflessione di alto livello attraverso il sorriso. Mi sembra di rivedere qui lo stesso rischio che Benigni aveva corso con la “Vita è bella”, dove con raffinata leggerezza si era mosso sul terreno spinoso della narrazione della Shoah.

La formula di portare una letteratura “alta” al grande pubblico in chiave leggera in che modo può essere efficace?
Esempi di questo tipo non mancano. Lo stesso Benigni si era cimentato nella spiegazione e nella recitazione della “Divina Commedia” dal 2006 al 2012 nelle piazze e nei teatri d’Italia e del mondo. Il grande pubblico in Italia ha potuto apprezzare quegli spettacoli in tv nel 2013. Anche allora inevitabilmente

Benigni aveva dovuto fare i conti con la “teologia” di Dante.

Chi ha seguito quegli spettacoli non ha potuto non apprezzare però la delicatezza con cui ha affrontato certi temi. Si può forse riconoscere qui l’indizio di una evoluzione interiore, che lo ha portato negli anni a confrontarsi con rispetto e pacatezza con quelle questioni antropologiche che, in buona parte, sono anche questioni teologiche.

In che senso la Bibbia è assimilabile alla letteratura “alta” come la Divina Commedia?
Un grande vantaggio nell’operazione che Benigni ha compiuto nell’ultimo Sanremo è l’aver implicitamente mostrato che la Bibbia è anche una straordinaria opera dal punto di vista letterario. Ha definito il “Cantico”: “Il vertice della poesia di tutti i tempi”. E non credo sia lontano dal vero. Sono soprattutto gli studiosi a spiegarci che la Bibbia è una biblioteca, che contiene al suo interno tante di queste perle preziose. Non a caso hanno ispirato artisti di ogni tempo. In un testo breve ma intenso, Italo Alighiero Chiusano si chiedeva icasticamente cosa sarebbe il mondo senza i capolavori della musica, della pittura, della scultura, ecc., che si sono ispirati alla Bibbia. Si tratta di un’opera letteraria che ha segnato la cultura occidentale e nei secoli ha anche fornito un sostrato valoriale comune, almeno a tutti i popoli d’Europa.

Cosa differenzia la Bibbia dalle altre grandi opere?
Il dato fondamentale per i credenti è che la Bibbia è un testo sacro: è Sacra Scrittura, appunto. Quando ho ascoltato Benigni mi sono chiesto da quale angolatura avrebbe letto il “Cantico”: da credente o da non credente? Ma questa è una domanda che andrebbe rivolta in modo appropriato solo alla sua coscienza personale. Di certo, ho immaginato che avesse previsto di parlare a credenti e a non credenti: per farlo aveva bisogno di essere attento a non ferire i primi e di essere capace di interessare gli altri. Un difficile equilibrio per uno nella sua posizione. Penso però che sia sostanzialmente riuscito nel suo intento.

Cosa non mi è piaciuto della performance di Benigni?
Per rispondere devo premettere di aver apprezzato che abbia detto di essersi confrontato con le opere di alcuni studiosi. I nomi che ha fatto rivelano il suo impegno nel non cimentarsi in solitaria su un terreno così impervio, ma di avere l’umiltà di prendere in mano una bibliografia sul “Cantico” di un certo livello scientifico.

Due punti mi hanno comunque lasciato perplesso.

Il primo è quello che definirei un “preconcetto complottistico”. Per sottolineare l’originalità e l’unicità del “Cantico”, ha affermato: “Doveva essere stato un momento di distrazione dei teologi o dei rabbini, che decidevano cosa doveva far parte della Bibbia”. È vero che nella lunga storia della ricezione del “Cantico” si sono sollevate perplessità da parte ebraica e cristiana: tuttavia,

il “Cantico” è nella Bibbia con la piena consapevolezza sia dei teologi che dei rabbini.

Statisticamente, credo che il “Cantico” sia il libro più commentato nella storia del cristianesimo dopo il Vangelo di Giovanni. Inoltre, da parte ebraica, non esiste un’autorità che abbia mai deciso quale libro inserire nella Bibbia e quale no. E se invece gli uomini della tradizione fossero meno rigidi e “bacchettoni” di come a volte li dipingiamo?
Il secondo punto è quello che definirei un “preconcetto romantico”. L’idea sottostante è che la prima versione delle storie è la più genuina, la meno edulcorata o contaminata, e quindi la migliore. Ispirati da questo preconcetto, in passato tanti studiosi si sono cimentati a immaginare come dovessero essere i testi biblici prima di quelli che abbiamo concretamente a nostra disposizione. Si tratta di operazioni che, più o meno consapevolmente, sono altamente congetturali e fortemente segnate dalla mentalità di questi studiosi. Ma soprattutto, gli antichi che hanno scritto e tramandato la Bibbia avevano proprio un’idea opposta a quella romantica: per loro il tempo non solo non peggiora, ma fa piuttosto maturare la consapevolezza degli eventi. Una storia si racconta solo dopo che è stata “ruminata” a fondo: quindi la sua prima versione non è mai attendibile, perché troppo ingenua, emotiva e quindi prematura. L’ossessione di un testo originale, ricostruito per farne apprezzare il valore, non corrisponde allo spirito sapienziale degli autori biblici.

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