Cure palliative. La terapia della dignità per dire: “Tu vali sempre” alla persona malata

Dolore fisico, paura, senso di abbandono, ma anche timore di non valere più nulla. E’ un’impresa enorme quella di chi, dopo avere combattuto contro una malattia inguaribile, sta percorrendo l’ultimo tratto della sua esistenza, consapevole di avvicinarsi sempre più al mistero, all’essenza di tutto quello che è stato. Un groviglio di emozioni confuse e contradittorie che devono essere accompagnate con sensibilità e competenza. Ed ecco la nuova frontiera della terapia della dignità, per dire alla persona in fin di vita: tu vali sempre. Se ne parla oggi a Roma

Foto Alessandro Feltre

Avviare, a dieci anni dalla legge 38/2010 sulle cure palliative e a pochi mesi dalla sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito, un percorso nazionale di conoscenza e sensibilizzazione sulla “terapia della dignità”, affinché questa forma di psicoterapia innovativa, destinata a persone che si trovano nella fase finale della propria vita, “venga riconosciuta e diffusa anche in Italia come una delle possibili componenti di quel complesso universo che sono le cure palliative”. Chiara Mantovani, medico e bioeticista, consigliere nazionale dell’associazione Scienza & Vita, illustra al Sir l’obiettivo l’obiettivo dell’incontro “Ricordati di me. Oltre la fine che verrà” in programma questo pomeriggio a Roma per iniziativa dell’associazione e del senatore Alberto Balboni, vicepresidente Commissione giustizia.


“L’interesse di Scienza & Vita per le cure palliative – spiega Mantovani – fa parte dell’ispirazione con cui l’associazione è nata come luogo nel quale la buona scienza e la difesa della vita convivono valorizzandosi reciprocamente. Siamo interessati a tutto ciò che è scientificamente valido e supporta una concezione della vita come bene prezioso da tutelare sempre e del quale prendersi cura in ogni situazione”. Dunque pieno sostegno alle cure palliative per “assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona malata che, anche quando non è guaribile, rimane curabile fino alla fine”.La “terapia della dignità” viene messa a punto nei primi anni del Duemila dallo psichiatra canadese Harvey Max Chochinov, noto in tutto il mondo per il suo impegno e le sue ricerche sui bisogni psicologici dei pazienti in fase terminale. “Dedicarmi alla ricerca sulle cure palliative è uno dei grandi privilegi che mi sono stati concessi nella mia vita professionale e accademica”, spiega Chochinov nella prefazione al suo volume “Dignity Therapy: Final Words for Final Days”. “La strada maestra per migliorare la qualità delle cure su cui possono contare le persone che affrontano la fine della loro vita – prosegue lo psichiatra – passa per la

comprensione dell’enormità dell’impresa in cui esse si cimentano mentre si avvicinano alla morte.

Quest’impresa mette in gioco l’insieme di tutto ciò che significa il nostro essere umani, vulnerabili e, ovviamente, mortali”.

La terapia della dignità, riprende Mantovani, “richiede competenze specifiche e qualificate: è un percorso psicoterapeutico inserito in un rigoroso protocollo, destinato al paziente e, se vogliono, anche ai membri della sua famiglia, che può essere svolto solo da specialisti”. I malati sono invitati a parlare di sé e a registrare ricordi, pensieri e sentimenti che ritengono significativi e desiderano lasciare in eredità ai loro cari dopo la morte: un modo per creare qualcosa che sopravviverà loro. “Questo – osserva la bioeticista – è uno dei passaggi chiave ma l’obiettivo è più ampio: ribadire la piena dignità della vita di una persona in ogni momento. La malattia causa una perdita, oltre che dell’autonomia fisica, anche della stima di sé perché la persona malata si percepisce come un qualcosa che si è guastato. Di qui l’importanza di aiutarla a riappropriarsi della propria dignità, ossia della convinzione che

si vale per il solo fatto di essere noi stessi”.

Il paziente, prosegue Mantovani, deve imparare a “rivolgere a se stesso lo sguardo della fondatrice dell’hospice, Cicely Saunders che diceva: ‘Tu vali in ogni condizione; io ti curo perché sei tu’”. Il parlare di sé nel tempo che rimane diventa allora “un rendersi conto del proprio valore per sé e per il resto del mondo. Un passaggio chiave all’interno delle cure palliative che, messe in atto da un’équipe multidisciplinare, includono oltre al sollievo dal dolore anche la presa in carico degli aspetti spirituali, psicologici e relazionali perché è nella totalità della dimensione metafisica e fisica che troviamo la cifra del nostro essere”, conclude la bioeticista. L’evento odierno segna l’avvio di un percorso che vedrà Scienza & Vita impegnata sul territorio nazionale in un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema dell’accompagnare e prendersi cura di chi è in fase terminale. E proprio sulle cure palliative sarà incentrato il convegno nazionale associativo di fine maggio.

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