Crisi economia e demografica in Italia. Pombeni: “Serve una situazione politica relativamente stabile”

“Se il Paese si trova in questa condizione di difficoltà, la causa va ricercata anche in tanti malfunzionamenti e rendite di posizione che non si riescono a intaccare proprio a motivo di una politica debole”. Lo spiega Paolo Pombeni, storico e analista politico tra i più autorevoli

Il Paese arranca, l’Istat certifica sistematicamente il calo demografico e quello produttivo, l’orizzonte internazionale appare scuro e non solo sul piano economico. Ma la politica italiana si mostra sempre più autoreferenziale, tutta intenta a ridefinire gli assetti istituzionali e gli equilibri di potere. “Lo scarto è evidente, ma per recuperarlo non basta che la politica annunci cure da cavallo o cento commissari per i cantieri, come avviene in questi giorni”, spiega Paolo Pombeni, storico e analista politico tra i più autorevoli. “Dobbiamo essere consapevoli – afferma in questa intervista al Sir – che la crisi si può fronteggiare realisticamente solo in una situazione politica relativamente stabile. Se il Paese si trova in questa condizione di difficoltà, la causa va ricercata anche in tanti malfunzionamenti e rendite di posizione che non si riescono a intaccare proprio a motivo di una politica debole”.

Il paradosso è che l’instabilità attuale non dipende dalla prospettiva di elezioni anticipate, dato che per motivi tecnici collegati al referendum sul taglio dei parlamentari non si potrà andare alle urne prima di settembre.

Settembre a stare stretti, ma è più probabile a febbraio-marzo del prossimo anno… È una situazione che alimenta i vari giochi tattici di palazzo, le manovre più ardite. Negli anni Settanta si discuteva del rischio di ripetere gli errori della repubblica di Weimar (l’assetto politico-istituzionale della Germania il cui fallimento ha aperto la strada al nazismo, ndr), ma il mio timore è che sia quello attuale il momento in cui tale rischio si manifesta più concretamente. Siamo tutti bloccati in attesa di un evento che riesca a scompaginare la situazione. E la storia ci insegna che eventi di questo tipo non portano mai esiti positivi.

Ma come si esce da questa situazione?

Un’alternativa può essere rappresentata da un governo di tregua o di transizione, relativamente neutro, che provveda a varare una legge elettorale equilibrata e nel frattempo provi a rimettere in moto l’economia. Più in generale,

è necessario che si arrivi quanto prima a un redde rationem tra i populisti e le forze ragionevoli, se vogliamo esprimerci così.

E’ un problema che riguarda innanzitutto il Movimento 5 Stelle ma non soltanto loro. Non si può andare avanti se non mettendo da parte i voli pindarici e i mantra pseudo-identitari.

C’è chi sostiene che, in questa situazione, ci si potrebbero dare degli obiettivi più ambiziosi, per esempio sul piano delle riforme istituzionali. Renzi ha appena lanciato la proposta dell’elezione diretta del premier, qualche mese fa Salvini aveva annunciato una raccolta di firme per l’elezione diretta del presidente della Repubblica…

Obiettivi più ambiziosi possono essere apprezzabili, purché siano anche realistici. Altrimenti le grandi riforme rischiano di fare la fine delle precedenti. Nel merito degli esempi che lei cita, c’è da dire che l’elezione diretta del premier è un sistema che in Europa non esiste. Esso pone grandi problemi di flessibilità negli adattamenti che possono essere richiesti dalla funzione di governo e di conflittualità nei confronti del ruolo del presidente della Repubblica. Diverso è l’altro caso, che in Europa conosciamo nell’esperienza del semipresidenzialismo francese e che ha dimostrato di poter funzionare.

C’è però una questione di fondo: sistemi di questo tipo richiedono che nel Paese ci sia un accordo di sostanza in virtù del quale tutti, più o meno, riconoscono legittimità a chi viene eletto, anche se appartenente allo schieramento opposto. Non uno schema tipo ‘angeli e demoni’ come quello che siamo abituati a vedere da noi.

Che ne è oggi del “centro” che in tanti ambiscono a rappresentare, anche se poi nel dibattito politico prevalgono temi e toni estremisti?

Originariamente la questione del centro si pone come la ricerca del bacino elettorale a cui la destra e la sinistra devono cercare di attingere per ottenere i voti necessari a governare, presupponendo che né l’una né l’altra possano ambire ad avere autonomamente la maggioranza. In questa chiave, dunque, il centro svolge una funzione di garanzia contro l’estremismo. In particolari contingenze storiche può accadere che questa funzione sia svolta da una forza capace di rappresentare lo spirito medio nazionale, com’è stato in Italia con la Dc. Si è trattato di un fenomeno legato alla crisi delle grandi dittature da cui la destra e la sinistra erano uscite delegittimate. Ma quella contingenza storica ormai è finita. Oggi, piuttosto, l’emergere dei radicalismi indica il pericolo di società così esasperate da bruciare l’idea moderata in quanto tale. A mali estremi, estremi rimedi, come si suol dire. È una tentazione a cui bisogna rispondere ricordando che poi occorrono decenni per tornare indietro e che si pagano prezzi altissimi.

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