Suicidio assistito. Spagnolo (Univ. Cattolica): “Decisione Fnomceo non altera spirito Codice deontologico”

La Fnomceo stabilisce che non sarà punibile dal punto di vista disciplinare il medico che liberamente sceglie di agevolare il suicidio di un paziente, ove ricorrano le condizioni poste dalla Corte costituzionale, allineando così la punibilità disciplinare a quella penale. Per il direttore dell’Istituto di bioetica della Cattolica, la struttura e lo spirito del Codice deontologico, che pure non può non tener conto dell’orientamento giuridico, rimangono invariati. Si tratta piuttosto di una “modalità di conciliazione”

“La libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte costituzionale e relative procedure), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati,

la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare”.

È il testo degli indirizzi applicativi dell’art. 17 del Codice di deontologia medica (Atti finalizzati a provocare la morte), approvati all’unanimità lo scorso 6 febbraio a Roma dal Consiglio nazionale della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo). Il Consiglio nazionale, composto dai 106 presidenti degli Ordini territoriali, ha così voluto aggiornare il Codice dopo la sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, che ha individuato una circoscritta area in cui l’incriminazione per l’aiuto al suicidio non è conforme alla Costituzione, a condizione che sussistano le circostanze indicate dalla Corte stessa e descritte sopra. Se esse ricorrono, l’agevolazione del suicidio non è dunque penalmente perseguibile. Di qui la decisione della Fnomceo spiegata così dal presidente nazionale, Filippo Anelli:

“Abbiamo scelto di allineare anche la punibilità disciplinare a quella penale,

in modo da lasciare libertà ai colleghi di agire secondo la legge e la loro coscienza. Restano fermi i principi dell’art. 17, secondo i quali il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte”. A valutare ogni caso nello specifico, accertando se ricorrano tutte le condizioni previste dalla sentenza della Consulta, saranno i Consigli di disciplina istituiti a livello di ogni singolo Ordine provinciale. In caso di giudizio positivo il medico non sarà punibile dal punto di vista disciplinare. Abbiamo chiesto un parere ad Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro cuore.

Professore, come “legge” questo “adeguamento” dell’art. 17 del Codice deontologico al dettato della sentenza della Corte costituzionale?

“La struttura del Codice rimane invariata:

questo è un aspetto positivo da sottolineare. La decisione della Fnomceo deriva dalla necessità di superare una sorta di immobilità dal punto di vista disciplinare laddove la sentenza della Consulta rende in qualche modo non punibile l’eventuale attuazione da parte del medico della volontà del paziente – se sussistono le condizioni e i presupposti stabiliti. Depenalizzare non significa obbligare: anche questo va precisato.

Nel Codice deontologico rimane fermo il principio che il medico non può causare, né facilitare la morte del paziente.

Il commento all’art. 17 intende piuttosto rendere “compatibili” eventuali situazioni nelle quali il medico, pur di fronte al Codice deontologico, desse attuazione a ciò che la “legge” gli consente, ancorché senza obbligarlo.

Il Codice deontologico, che rappresenta i valori costitutivi della professione medica, deve adeguarsi alle leggi?
Un codice deontologico risulta dall’insieme di tre tipologie di norme: le norme etiche; le norme deontologiche propriamente dette, ossia legate alla professione; le norme giuridiche. Come tale, non può non tener conto dell’orientamento giuridico, non tanto per adeguarvisi, ma per una sorta di conciliazione.Abbiamo il precedente dell’aborto: il Codice antecedente al ‘78 conteneva l’indicazione che il medico non poteva procurare l’aborto; con la legge 194 è stata inserita la possibilità di effettuarlo pur richiamando il diritto all’obiezione di coscienza. Nel ‘78 ci fu un dibattito analogo a quello di oggi: il Codice venne accusato di essersi adeguato alla norma tradendo per così dire il giuramento di Ippocrate. In realtà la decisione della Fnomceo rispecchia il tentativo di tenere insieme l’aspetto etico e l’aspetto giuridico; in linea generale mi sembra che il medico cosciente e coerente non ne verrà influenzato: la sua integrità personale non viene intaccata né dalle modificazioni introdotte dalla Corte né da queste ultime indicazioni.

Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza?
La questione dell’obiezione di coscienza prevista dalla legge 194 per ora non si pone. A mio avviso non sarebbe necessaria perché la Corte costituzionale rimandando ad un’attuazione legislativa,

depenalizza l’atto ma non stabilisce l’obbligo del medico a compierlo.

Di fatto non c’è quindi motivo di invocare l’obiezione di coscienza perché il medico che non vuole può astenersi senza correre il rischio di essere incriminato. Vorrei di nuovo ribadire che non ci troviamo di fronte alla modifica dello spirito del Codice deontologico, bensì ad una modalità di conciliazione voluta dal presidente Anelli, al quale bisogna riconoscere molto equilibrio, tra il saldo mantenimento del principio del non uccidere e un approccio che possa tener conto di coloro che di fronte a questo principio decidano in coscienza di venire incontro alla volontà del paziente.

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