
(da Nemi) “Noi evidentemente auspichiamo che emerga la soggettività dell’Europa ma come comunità di popoli nella pace e per la pace”. È mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Conferenza episcopale italiana, a delineare la visione della Chiesa italiana sui grandi temi al centro dell’Europa, all’indomani del vertice di Parigi che ha riunito i maggiori leader europei per discutere su aiuti militari, cessate il fuoco, futuro dell’Ucraina e truppe Ue. Mons. Baturi ha partecipato oggi all’assemblea plenaria di primavera della Comece, la Commissione degli episcopati dell’Unione europea, che ha messo al centro dei lavori i temi dell’unità dell’Europa e l’impegno ad “essere un attore globale per la pace”. “È chiaro che in questa soggettività ci deve essere spazio anche per una valutazione comune della politica estera”, spiega al Sir Baturi a margine dell’incontro. “Ma affidare semplicemente al riarmo questa possibilità, non ci convince”.
Quindi qual è la posizione della Chiesa tra la necessità di una difesa comune e la pace di Papa Francesco?
Pensiamo che sia necessario sviluppare programmi di bene, a favore dei più poveri e soprattutto stare attenti al linguaggio perché sia il più possibile inclusivo.
Pensiamo anche che occorre avere una esigenza di diplomazia che deve essere spinta fino all’incontro e fino alla necessità del dialogo con tutti.
Guardiamo quindi ad un’Europa che recuperi la spinta iniziale ad essere luogo di amicizia e pace mettendo assieme tutti gli strumenti necessari perché questo sia possibile. Il nostro presidente card. Zuppi ha parlato di una Camaldoli Europea per dire la necessità di unire gli sforzi, anche di diverse tradizioni ideali e culturali. Noi mettiamo dentro il patrimonio della Chiesa per recuperare un’idea di Europa più alta.
Dalla piazza allo scontro sul Manifesto di Ventotene. Mai come oggi, l’Europa è al centro di un dibattito divisivo. Quale l’appello della Chiesa?
L’appello è quello alla lungimiranza.
Non guardare alle piccole prospettive. Il Papa ha fatto dei discorsi in Europa e sull’Europa molto importanti dove invitava a recuperare un’anima. Noi dobbiamo discutere su quale anima è necessario recuperare perché l’Europa sia amata dai suoi cittadini e perché ci sia un impegno di corresponsabilità da parte di tutti. Faccio l’esempio del Mediterraneo, per noi molto importante. Un’Europa di amicizia e di pace non può pensarsi senza pensare al Mediterraneo e agli altri popoli che si affacciano su questo mare comune. Il nostro auspicio è che il Mediterraneo possa diventare luogo di pace e dialogo, invece che di confronto e scontro. L’invito a recuperare lungimiranza è quindi un invito a mettere insieme le diverse tradizioni e discutere, a capire di quale Europa ha bisogno il mondo e come l’Europa possa essere amata e pensata in termini positivi da parte dei suoi cittadini.
Il Mediterraneo è diventato un cimitero a cielo aperto. Lei parlava di lungimiranza. Cosa significa concretamente dotarsi di una gestione lungimirante della migrazione?
Intanto deve essere una gestione che mette insieme l’Italia e gli altri paesi. Deve essere poi una gestione globale rispetto ad un fenomeno globale. E poi occorre pensare ad un approccio integrale del fenomeno in tutte le sue dimensioni: l’aiuto ai popoli più poveri in modo che la migrazione sia una decisione e non una necessità; la protezione lungo il percorso e quindi la necessità di attivare e allargare i canali legali di migrazione e di lavoro; il tema dell’accoglienza perché la vita umana si salva, sempre e infine il tema dell’integrazione che non è mai assimilazione ma non può essere ghettizzazione. Occorre lavorare sull’immediato per salvare le vite umane, ma poi ci vuole un pensiero più ampio in cui è necessario mettere assieme, senza pregiudizi, visioni e competenze per accompagnare questo fenomeno in tutta la sua vastità e le sue dimensioni.
La Chiesa lo ha fatto e continuerà a farlo, dialogando con tutti, sapendo anche delle differenze ma avendo proposte da fare.