“Assassini”: la protesta sui monumenti di San Pietroburgo. Le voci della resistenza russa

Mentre il conflitto in Ucraina continua a mietere vittime, la dissidenza pacifista in Russia lotta per resistere. Il caso del monumento per le “città gemelle” di Mariupol e San Pietroburgo. Singole voci che finiscono per essere dirompenti. E che si spendono per difendere diritti e libertà anche in Ucraina e in Iran

(Foto ANSA/SIR)

Nel giugno scorso la città martire dell’Ucraina Mariupol e San Pietroburgo erano state proclamate “città sorelle” dai russi, con firma di un documento da parte del governatore di San Pietroburgo, Alexander Beglov, e da Konstantin Ivashchenko, nominato sindaco di Mariupol dalle truppe di occupazione russe. Per segnalare l’evento, una installazione con due grandi cuori era stata issata nel centro della città russa, la cosiddetta “Venezia del nord”. Ora però, si apprende dai canali Telegram, sono stati smantellati i due cuori, perché sono stati imbrattati con la frase “Assassini, l’avete bombardata. Giuda”. La testata Mediazona ha riferito che a compiere il gesto di protesta sarebbe stata una studentessa minorenne, fermata dalla Polizia, schedata, e rimessa in libertà con l’obbligo di comparizione. L’opera d’arte invece sarà ripulita e poi tornerà in bella mostra.

Raisa è sotto processo. Dal 24 febbraio 2022 sono 19.442 le persone fermate dalla polizia in Russia per iniziative contro la guerra, come dice il contatore sempre aggiornato di Ovd-info (sono invece 138mila i siti on line chiusi dalla censura). Una di queste persone è la 61enne Raisa Boldova: se ne parla in questi giorni sui canali della dissidenza perché il tribunale di Bashkortostan ha chiesto sia sottoposta a perizia psichiatrica. L’imputata aveva chiesto in aula di archiviare il suo caso perché “non comprendeva l’essenza di ciò che stava accadendo e considerava il fatto stesso del suo procedimento penale come una violenza contro di lei”. Raisa è a processo perché tra marzo e aprile aveva scritto alcuni post contro la guerra sui social network. Dovrà tornare in aula il 25 dicembre.

Una schiera di detenuti politici. Dall’associazione Memorial – l’ong nata per fare luce sui crimini compiuti dalla repressione stalinista e insignita del premio Nobel per la pace lo scorso 10 dicembre – arriva l’annuncio che avvierà nei prossimi giorni una raccolta fondi per raccogliere aiuti umanitari per i prigionieri politici. I parenti dei detenuti sono stati invitati a segnalare necessità particolari, ma l’avviso di Memoria anticipa: “Non possiamo garantire che saremo in grado di coprire tutte le richieste, ma cercheremo di rispondere a tutti coloro che hanno fatto domanda”. Secondo il sito, sarebbero attualmente oltre 500 i detenuti per ragioni politiche.

Lungo elenco di morti russi. Il sito Mediazone invece cerca di tenere il conto dei militari russi caduti in Ucraina, per sensibilizzare sul costo di vite umane che la guerra ha per la Russia: al 16 dicembre i morti erano 10.229. Si tratta di un numero assolutamente provvisorio, specifica la pagina, raccolto in collaborazione con il servizio russo di Bbc News e un team di volontari, che scandaglia post, social media, media locali. “Il vero bilancio delle vittime è molto più alto. E non è noto il numero di soldati dispersi o prigionieri”.

Mobilitazioni e retate. “I parenti dei mobilitati in tutto il Paese stanno lottando per il ritorno dei parenti a casa e per la fine della guerra e della mobilitazione”, con proteste che “sono le più grandi degli ultimi mesi”: è il gruppo “Movimento femminista contro la guerra” a riferirlo oggi. Il canale invita a sostenere la protesta, “alla vigilia di una possibile seconda ondata di mobilitazione”. Il reclutamento autunnale termina però il 31 dicembre, come scriveva nei giorni scorsi il “Movimento studentesco contro la guerra”, che invitava i suoi aderenti a “restare in casa e non aprire la porta” quando vengono diramate informazioni circa “retate” dei funzionari.

“I capelli ricresceranno…”. La rete delle donne contro la guerra intanto ha raccolto fondi tra le sue attiviste per acquistare un generatore per un ospedale ucraino, unendosi alla mobilitazione internazionale per riportare la luce e il calore in Ucraina. E ha fatto circolare la foto di una manifestante che il 13 dicembre scorso ha tenuto un cosiddetto “picchetto solitario” davanti all’ambasciata iraniana a Mosca: capelli rasati e un cartello in mano, “per favore fermate le esecuzioni dei manifestanti”. Ha spiegato: “I capelli ricresceranno. I giustiziati non saranno resuscitati”. Non è stata fermata dalla polizia perché “non c’erano ragioni per l’arresto”. Un toccante gesto di solidarietà, da chi sa bene che significa lottare per i diritti, la libertà, la vita.

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