(Milano) “Cosa impariamo dalle ferite della guerra? Che cosa faremo? Come oseremo pronunciare la parola impronunciabile, la pace?”. Lo ha chiesto l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, intervenendo al convegno tenutosi alla vigilia della giornata (10 novembre) che la diocesi di Milano dedica alla Caritas Ambrosiana, presente su tutto il territorio della diocesi, con centinaia di sportelli e migliaia di operatori e volontari, 600 dei quali hanno gremito l’aula magna dell’Università Cattolica sabato 9 novembre: l’assise ha dato inizio al percorso del 50° dell’ente diocesano, istituito nel 1974. “La pace, un’utopia concreta e quotidiana” il titolo dell’incontro che ha visto la presenza tra gli altri, del vicario generale monsignor Franco Agnesi, del moderator curiae, monsignor Carlo Azzimonti, del vescovo Giuseppe Merisi, già presidente di Caritas italiana, e di monsignor Angelo Bazzari, in passato direttore di Caritas Ambrosiana, di rappresentanti delle istituzioni e dell’associazionismo cattolico.
Presenza preziosa. A portare il saluto introduttivo è stata la rettrice della Cattolica, Elena Beccalli, che ha definito Caritas “un’istituzione essenziale per il territorio milanese e lombardo, poiché la sua presenza risulta essere, giorno dopo giorno, sempre più preziosa. C’è un secondo motivo – ha aggiunto la rettrice – che mi rende particolarmente felice ed è relativo al tema scelto per questa giornata, quello della pace. Se, per un verso, questa parola era quasi scomparsa dal vocabolario pubblico, oggi rischiamo che venga relegata definitivamente nel mondo delle parole usurate. Tutti evocano la pace, ma sono ancora poche le azioni concrete che vanno nella direzione della pace”.
L’incontro con i poveri. Sono seguiti gli interventi di monsignor Luca Bressan, presidente di Caritas ambrosiana, e del direttore Luciano Gualzetti. “Non ci sarebbe Caritas se non vi fosse la rete capillare degli operatori e dei volontari che vivono l’incontro con i poveri, competente organizzato, quotidiano. La pace – ha poi affermato Gualzetti – è frutto della preghiera intesa come intercessione, di martiniana memoria, che significa mettersi nel mezzo tra le parti in conflitto, con una posizione di equi-vicinanza e non di equidistanza”. “Il metodo Caritas parte dai poveri, per cui si cambia lo sguardo proponendo ponti e cooperazione internazionale”. “Come Chiesa occorre promuovere coralmente l’obiezione alle armi e alla guerra come opzione non più praticabile, non solo per quella nucleare, perché con la guerra tutto è perduto”.
Voci e opere di pace. Hanno poi preso la parola Alessandra Silvi, officiale del Dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo integrale, e alcune voci-testimonianze sul versante della pace: il villaggio di Nevé Shalom-Wāħat as-Salām in Terra Santa dove convivono ebrei, arabi e cristiani; le Discepole del Vangelo, comunità di religiose che opera nel periferico quartiere di Baggio; l’oratorio della parrocchia San Pio X, a Città Studi, che accoglie la comunità “Il Seme” (minori non accompagnati da Egitto, Tunisia, Costa d’Avorio, Pakistan, prevalentemente musulmani). Infine, Benedetta Matterazzo che ha svolto il servizio civile in Libano e i giovanissimi Sebastiano e Simone, dell’Azione cattolica ragazzi, con la loro educatrice Giorgia, che hanno letto un messaggio per la pace”.
“Gesù, la nostra pace”. “La pace suona come l’utopia impraticabile del nostro tempo, come l’ingiunzione al più debole di sottomettersi al più forte. Pace è una parola impronunciabile in pubblico”, ha quindi detto mons. Mario Delpini nel suo intervento. “Ma noi ci ostiniamo a dirla, perché la nostra fede in Gesù ci rende uomini e donne di pace, perché non possiamo essere senza il Signore ed è Lui la nostra pace”. “Che cosa impariamo da questo senso di impotenza? Da questa impressione che, per quanto si faccia – e lo abbiamo ascoltato qui – è come scrivere qualcosa sulla sabbia che il primo vento la cancella subito? Noi dobbiamo imparare percorsi di fede, non ci basta un po’ di buona volontà. Se non siamo disponibili a convertirci, rimaniamo dei sognatori astratti”. Ma servono anche “percorsi istituzionali”: “Siamo cittadini di un Paese e dell’Europa e abbiamo il dovere di chiamare in causa le istituzioni se non operano il bene comune e di entrare nelle istituzioni”.
“Cattedre della Carità”. A concludere l’incontro sono stati il direttore generale dell’ateneo, Paolo Nusiner che, anche attraverso la proiezione di un video, ha illustrato l’iniziativa “Pace, giustizia sociale, sostenibilità”, per cui 20 studenti, 7 docenti e 9 operatori Caritas, hanno animato 9 workshop divisi in tre cicli. Al termine di ciascun laboratorio gli studenti hanno sperimentato concretamente l’impegno come volontari. Prima del mandato agli operatori è stata Erica Tossani, vicedirettrice di Caritas, a presentare le “Cattedre della Carità”. “Non saranno conferenze, ma momenti di dialogo a partire dall’esperienza di chi fa più fatica e da cui speriamo di trarre un cammino e un pensiero condivisi. Lo scopo non è dare risposte, ma mettersi tutti insieme in ascolto, per capire come diventare segni di speranza”. Il ciclo si svolgerà in 17 incontri, per tutto l’anno prossimo, dedicati ad altrettanti campi, tutti declinati secondo la logica della carità: dalla cultura alla salute, dalla bellezza alla scuola e tecnologia, dall’azzardo al carcere, solo per citare alcuni temi.