
“La sinodalità è un dono per la Chiesa”. A parlare è mons. Timothy Costelloe, arcivescovo di Perth e presidente della Conferenza episcopale australiana. A un mese dall’inizio del pontificato di Papa Leone XIV, offre uno sguardo personale sui primi segni di questo cammino, intrecciando memoria, discernimento e visione. “Siamo chiamati a essere lievito, anche in mezzo alle fratture”, afferma. E in questa intervista rilancia l’urgenza dell’ascolto, il peso delle sfide pastorali e la speranza di una visita papale nel suo Paese.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)
Eccellenza, quali emozioni ha vissuto partecipando alla Messa inaugurale di Papa Leone XIV?
È stata un’esperienza carica di significato. Avevo già partecipato ai funerali di Papa Francesco e, in entrambe le occasioni, mi ha colpito la straordinaria partecipazione del popolo di Dio. Ai funerali, una folla raccolta nel dolore e nella gratitudine; all’inizio del nuovo pontificato, quella stessa folla era animata da speranza e attesa. Non solo un evento umano: un vero segno dello Spirito.
Chi è mons. Timothy Costelloe
Salesiano, nato nel 1954 a Melbourne, è arcivescovo di Perth dal 2012. Teologo e formatore, ha studiato a Roma presso l’Università Salesiana e la Pontificia Università Gregoriana. È stato docente e vice-rettore dell’Università Cattolica Australiana. Attento al dialogo interculturale e all’educazione, è stato protagonista del Concilio Plenario australiano (2020-2022). Dal 2018 è presidente della Conferenza episcopale australiana, primo religioso a ricoprire questo incarico. Nel 2023 è stato tra i delegati al Sinodo sulla sinodalità.
Quali segni ha colto nella figura e nei gesti del nuovo Pontefice?
La sobrietà dei gesti, la profondità dello sguardo, il silenzio orante. Papa Leone ha offerto un’immagine di prossimità, senza retorica. La sua figura ha comunicato una Chiesa vicina, attenta, desiderosa di riconciliazione.
È una presenza che accoglie, non impone.
La sua insistenza sull’unità e sulla riconciliazione ha trovato eco anche in Australia?
Molto profondamente. L’Australia è un Paese multiculturale e multireligioso, ma anche fortemente secolarizzato. La tensione tra l’immagine ideale di una società inclusiva e la realtà di molte esclusioni è evidente. In questo senso, l’appello del Papa tocca una corda vera, concreta.
Le ferite del passato continuano a interrogare la vita ecclesiale?
Certamente. Penso alla condizione delle Prime Nazioni, in particolare ai popoli aborigeni e delle isole dello Stretto di Torres. Sono comunità che portano ancora le conseguenze di secoli di marginalizzazione, povertà, disgregazione.
La Chiesa oggi sente l’urgenza di mettersi al loro servizio, per promuovere inclusione e riconciliazione.
In che modo la Chiesa australiana ha già cominciato a percorrere questa strada?
Durante il Concilio Plenario che si è svolto tra il 2020 e il 2022, abbiamo indicato questo tema come centrale. Non si tratta solo di un impegno sociale, ma evangelico.
Secondo il Censimento 2021, i cattolici in Australia sono 5.075.907, pari al 19,9% della popolazione. In costante calo: erano il 25,3% nel 2011 e il 22,6% nel 2016. L’età mediana dei cattolici è 43 anni, cinque in più rispetto alla media nazionale. La partecipazione settimanale alla messa è dell’8,2%, circa 417.300 fedeli. Le celebrazioni si svolgono in oltre 42 lingue: il 13,6% dei cattolici partecipa alla liturgia in una lingua diversa dall’inglese. Complessivamente, il 38,9% della popolazione australiana si dichiara senza religione.
Come si può tradurre, nella pastorale quotidiana, l’ideale di una Chiesa che sia “fermento per un mondo riconciliato”?
Attraverso relazioni autentiche, comunità accoglienti, parrocchie che sanno dialogare con il territorio. Non è facile, ma è la nostra vocazione. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Chiesa è “sacramento, cioè segno e strumento dell’unione con Dio e dell’unità del genere umano”.
È un ideale alto, ma non negoziabile.
In questo percorso, quale ruolo gioca la sinodalità?
La sinodalità è un dono per la Chiesa. È ascolto, discernimento, umiltà. Implica accogliere anche le voci dissonanti, quelle che sfidano le nostre certezze. Oggi, in molte diocesi australiane, anche nella mia di Perth, la sinodalità è una pratica concreta e quotidiana.

(Foto AFP/SIR)
Oltre alla sinodalità, quali altre priorità pastorali sentite oggi più urgenti?
La prima, che resta prioritaria, è la ferita degli abusi. È una realtà che continua a interpellarci nella verità, nella giustizia, nella trasparenza.
La secolarizzazione è un’altra sfida centrale?
Oggi più della metà degli australiani si dichiara senza affiliazione religiosa. Anche tra i cattolici, che sono ancora il gruppo più numeroso, la partecipazione ecclesiale è in calo.
Serve un nuovo linguaggio per annunciare il Vangelo con autenticità e credibilità.
Che attese nutrite nei confronti del pontificato di Leone XIV?
La sua esperienza missionaria e il radicamento nella spiritualità agostiniana sono per noi fonte di ispirazione. Lo sentiamo vicino, capace di parlare a una Chiesa che vive ai margini del mondo occidentale, ma che ha molto da offrire.
Congresso eucaristico nazionale 2028
Si svolgerà nel 2028 in Australia il prossimo Congresso eucaristico nazionale, promosso dalla Conferenza episcopale per rilanciare la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa e rispondere alla crescente secolarizzazione. Sarà il primo Congresso del genere nel Paese dal 1973. L’evento è pensato come punto di arrivo del cammino sinodale avviato con il Concilio Plenario (2020-2022) e occasione per rafforzare la testimonianza pubblica della fede. I vescovi auspicano la presenza di Papa Leone XIV.
Un ultimo messaggio da rivolgere al Papa?
Vorrei dirgli che in Australia la sua elezione è stata accolta con entusiasmo e con autentico affetto. Possa sentire la nostra preghiera. E se decidesse di visitarci, magari in occasione del Congresso eucaristico del 2028, sarebbe accolto con grande gioia. Ma, naturalmente, sarebbe il benvenuto anche molto prima.