La grande utopia

Il trascendentalismo americano e la sua influenza sul pensiero contemporaneo

(Foto Calvarese/SIR)

Dietro papa Prevost esiste una cultura eterogenea, non solo per le radici della sua famiglia (il Piemonte è un luogo fondamentale per la letteratura italiana: Alfieri, Pavese, Rodari, Fenoglio, Eco, solo per fermarci a pochi nomi) ma anche per quella stessa matrice “recente”, la statunitense, che al suo interno contiene visioni del mondo lontane tra di loro e spesso in rotta di collisione con la cultura dominante. Basti pensare al cosiddetto trascendentalismo, che si sviluppò a metà dell’Ottocento e vide tra i suoi protagonisti scrittori come Ralph Waldo Emerson, considerato l’ispiratore,  Henry David Thoreau e quello che è più conosciuto, grazie ad un film del 1989, “L’attimo fuggente”, diretto da Peter Weir: qui infatti si assiste alla iconica scena di un Robin William nei panni di un professore che viene salutato dai suoi studenti con l’ormai celebre “oh capitano, mio capitano”. Quella frase in realtà viene da “Foglie d’erba”, poema di Walt Whitman, uscito nel 1855, e poi ripreso quando allo scrittore -fervente antischiavista- arrivò la notizia dell’assassinio di Lincoln: fu allora che vennero inseriti quei versi.

Ma anche Thoreau ha contribuito alla nascita di un pensiero che poneva in primo piano la grande questione -ed eravamo nel 1854!- del rispetto di una natura vista come dono divino senza il quale l’uomo non ha futuro. La capacità profetica di questo pensiero, espressa nell’opera “Walden o la vita nei boschi” è evidente. Thoreau non si è limitato a teorizzare quella che sarebbe divenuta matrice dell’ecologismo: andò a vivere per due anni sulla riva di un lago, costruendosi una capanna di legno. Non è un caso che sia stato tenuto in gran conto da Tolstoj e poi da Gandhi.

Molto è stato scritto sul pensiero trascendentalista, con i consueti tentativi di metterci sopra un’etichetta, del tipo panteismo, deismo, teismo, neo-paganesimo, primitivismo ecc.: al di là del fatto che è scorretto limitare forme di pensiero così complesse, l’amore per il creato, l’unità di natura e anima, come teorizzava Emerson, hanno segnato un momento di transizione da altre idee sul mondo -Rousseau, ma anche Kant- verso una concezione di rispetto per una natura parte integrante di noi.

Il concetto di individualismo che alcuni hanno notato soprattutto in Emerson va visto alla luce dei tempi in cui si è sviluppato: il suo potenziale di ribellione a quella che stava già allora divenendo una società materialistica e di massa fu fatto proprio da quella che sarebbe stata chiama beat generation, un secolo più tardi.

Quando si parla della contestazione giovanile si dovrebbe andare a quelle radici, cui attinsero Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, protagonisti di un’epoca in cui il materialismo di una società sempre più schiava del consumismo veniva combattuto con la fascinazione per lo zen e il buddismo, il ritorno ad un cristianesimo delle origini, il jazz visto come libertà dai preconcetti, ed anche purtroppo l’uso degli allucinogeni. E il viaggio, con il celebre “Sulla strada” di Jack Kerouac, che riprese alcune tematiche di Whitman e soprattutto di Thoreau, ponendo le basi per una lunga stagione in cui ideologia, musica, costume, politica, utopia si fusero, precorrendo quegli anni Sessanta fatti di Beatles e Rolling Stones, di Donovan, di chitarre acustiche e di distorsioni lancinanti: la prova è il passaggio di un capolavoro assoluto, “All along the watchtower”, dalla versione acustica del suo creatore, Bob Dylan, a quella distorta di Jimi Hendrix. Rimanendo pur sempre una geniale profezia neo-biblica:

“Lontano nei campi/ un gatto selvatico ringhiava/ due cavalieri si stavano avvicinando/ il vento cominciò ad ululare”.

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