Sinodo: card. López Romero, “divergenze, ma mai scontri”

Nel briefing di oggi sul Sinodo voci dal Marocco, dall'Africa e dall'Oceania. Continua l'apprezzamento per il clima in Aula Paolo VI. "Convergenze e divergenze" in spirito di "condivisione" dell'obiettivo di fondo, che non sono i singoli temi ma uno "stile" di Chiesa.

(Foto Vatican Media/SIR)

“Ci sono divergenze, ma non c’è mai uno scontro l’uno contro l’altro”. Lo ha detto il card. Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat (Marocco), rispondendo alle domande dei giornalisti nel briefing odierno sul Sinodo sulla sinodalità, in corso in Aula Paolo VI fino al 29 ottobre. “Grazie al metodo della conversazione nello Spirito – ha testimoniato il vescovo – non ci sono scontri l’uno contro l’altro, così frequenti in un Parlamento.

Ci sono divergenze, ma è molto di più ciò che ci unisce rispetto a quello che ci separa. L’organizzazione stessa del Sinodo ci ha chiesto di porre in evidenza le divergenze, e non di occultarle”.

“Molti hanno un’immagine della Chiesa molto autoreferenziale”, ha spiegato Lopez: “Io penso il contrario, la Chiesa non vive per se stessa ma per Cristo e il suo Regno, che è la missione della Chiesa. Il Sinodo ci aiuta ad aprire gli occhi e a scoprire che l’ascolto dell’esperienza dell’altro può aiutarci a modificare la nostra e viceversa”.  “Le convergenze e le divergenze sono parte del processo sinodale, anzi sono la base per creare qualcosa di nuovo”, ha confermato p. Agbonkhianmeghe Emmanuel Orobator, teologo africano: “Nessuna voce sovrasta l’altra”. “Sono un fanatico della sinodalità, la mia impressione del Sinodo è fondamentalmente positiva”, ha reso noto Lopez, ricordando che “quello che stiamo vivendo a Roma non è il Sinodo, è la prima Assemblea generale del Sinodo, convocato da Papa Francesco nell’ottobre del 2021. Da allora, si sono svolte centinaia di riunioni ed esperienze in tutte le parti del mondo: se anche domani dovessimo interrompere, sarebbe la tappa di un Sinodo che durerà almeno tre anni. E’ un evento ampio con un obiettivo chiaro: vuole lasciare alla Chiesa un modus operandi concreto, quello della sinodalità. E’ questo, infatti, il tema del Sinodo, non qualche altra cosa: come fare in modo che la Chiesa funzioni sinodalmente, come estendere a tutta la comunità ecclesiale questa modalità. Non ci aspettiamo risoluzioni o soluzioni in questa tappa: bisognerà lavorare nelle parrocchie e nelle diocesi per poi tornare  a riunirci tra un anno per affrontare i vari temi e arrivare ad una conclusione. Ora è il tempo della condivisione delle esperienze e delle sensibilità”.

“E’ il mio primo Sinodo, ma non la mia prima esperienza di sinodalità”, ha rivelato mons. Antony Randazzo, vescovo di Broken Bay, della Federazione dei vescovi cattolici dell’Oceania: “In Australia abbiamo avviato un processo di consultazione, comunicazione e discernimento in piccoli gruppi. L’Oceania è un continente circondato dall’acqua, e più che come camminare dobbiamo chiederci come navigare: in territori lontani mille miglia l’uno dall’altro, la comunicazione è una sfida, anche in un mondo digitale”. “Sedersi intorno ad un tavolo e confrontarsi con persone di tutto il mondo è la ricchezza di questo Sinodo”, la risonanza del vescovo, che si è soffermato sulla diversità dello stile di vita europeo, “dove alzarsi per prendersi un caffè insieme è normale”, rispetto a quello dei “fratelli e sorelle delle altri parti del mondo”: “è una profonda questione che riguarda il modo in cui parliamo, agiamo e coinvolgiamo le persone nella Chiesa e nella società”.  “I miei genitori sono italiani e dopo la guerra sono emigrati in Australia”, ha raccontato Randazzo: “la comunità ecclesiale locale li ha accettati, ha camminato e lottato con loro, per una piena partecipazione alla Chiesa e alla società. Tutto questo è molto sinodale. Il genio di Papa Francesco ha riflettuto su questo e ha pensato di coinvolgere l’intera comunità ecclesiale, in tutte le sue componenti.  per interrogarsi su come vivere e proclamare la fede oggi. E’ veramente arricchente ascoltare persone con esperienze differenti dalla mia, per vivere la fede nella Chiesa e dare il nostro contributo nel mondo”.

“C’è troppa enfasi sulla questione del sacerdozio femminile”. Lo ha detto Renée Ryan, professoressa proveniente dall’Oceania e testimone del processo sinodale, che rispondendo alle domande dei giornalisti  ha messo l’accento sull’importanza di “non lasciarsi distrarre dalle singole questioni, ma di chiedersi cosa le donne vogliono realmente, come ad esempio un maggior sostegno alla famiglia, anche economico, per non dover essere costrette a dover scegliere tra la famiglia e il lavoro. L’ordinazione sacerdotale delle donne non è certo il loro primo problema”. “L’uguaglianza nella Chiesa è unità nella diversità”, ha ricordato la testimone del processo sinodale a proposito di uno dei temi presenti nell’assise in corso in Aula Paolo VI.

All’undicesima Congregazione generale, svoltasi stamattina, hanno partecipato 345 persone, ha reso noto Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione, mentre a quella di ieri pomeriggio 330. “Il Sinodo si unisce oggi alla Giornata di digiuno e di preghiera per il Medio Oriente proposta dal cardinale Pizzaballa”, ha detto Ruffini, “contrapponendo la preghiera alla forza diabolica dell’odio, del terrorismo e della guerra”. A tutti i partecipanti al Sinodo è stata data in omaggio una copia dell’esortazione apostolica “C’est la confiance” di Papa Francesco, dedicata a Santa Teresa di Lisieux e pubblicata domenica scorsa. Tra i temi trattati tra ieri e oggi, ha riferito il prefetto: come superare i modelli clericali che ostacolano la comunione; alcune possibili revisioni del Diritto canonico, ad esempio sostituendo la parola “cooperazione” con “corresponsabilità”; il possibile ripristino del diaconato femminile, per il quale, secondo alcuni “occorrerebbe prima rivedere prima la natura stessa del diaconato”; una maggiore attenzione al ruolo delle donne e al linguaggio inclusivo della liturgia,  valutando la possibilità per le donne di tenere le omelie;  il rapporto tra la leadership e il servizio; il ruolo della parrocchia non come “stazione di servizio”; la ministerialità non come “tappabuchi per la mancanza di preti”; il ruolo del vescovo e la necessità di una maggiore attenzione per i sacerdoti, che “vanno ringraziati per loro servizio”.

 

 

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