Don Minzoni: al via la fase diocesana di beatificazione. Mons. Ghizzoni (Ravenna): “La carità è il motore del suo sacrificio”

Si è aperta ufficialmente sabato 7 ottobre, in Cattedrale a Ravenna, nel corso di una veglia presieduta dall’arcivescovo mons. Lorenzo Ghizzoni, la fase diocesana della causa di beatificazione di Don Minzoni, avviata con la parrocchia di Argenta, l’Agesci, il Masci (a livello nazionale) e gli Scout d’Europa. Un percorso partito in occasione del centenario, il 23 agosto scorso, durante la messa presieduta dal presidente della Cei, card. Matteo Zuppi

Don Minzoni, con i ragazzi dell'oratorio (Foto Giampiero Corelli)

Un “segno vivo dell’amore di Cristo e della Chiesa, per i piccoli, i poveri, i giovani”, come recita la preghiera composta per l’avvio della fase diocesana della causa di beatificazione. Don Minzoni è stato questo. Ed è la ragione per la quale la diocesi, con la parrocchia di Argenta, l’Agesci, il Masci (a livello nazionale) e gli Scout d’Europa hanno avviato la causa che si è aperta ufficialmente sabato sera in Cattedrale a Ravenna, nel corso di una veglia presieduta dall’arcivescovo mons. Lorenzo Ghizzoni.

Verso la fase romana. Un percorso partito in occasione del centenario, il 23 agosto scorso, durante la Messa presieduta dal presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, con l’annuncio dell’accettazione del “supplex libellus”, la richiesta ufficiale da parte del postulatore. Dopo il giuramento dei membri del tribunale diocesano e del postulatore, padre Gianni Festa, e vicepostulatore, don Rosino Gabbiadini, si proseguirà con la raccolta di testimonianze e documenti sulla fama di santità di don Minzoni. Tutti elementi che poi verranno inviati alla Congregazione della causa dei santi per la fase romana.

Perché don Minzoni può essere candidato alla beatificazione? Per cosa è stato perseguitato e per cosa ha dato la sua vita? A queste domande hanno cercato di rispondere, sabato scorso, mons. Ghizzoni e il postulatore, padre Festa, presentando la causa di beatificazione del parroco di Argenta morto cento anni fa in un agguato fascista. Citando papa Giovanni Paolo II che nel 1990 scrisse una lettera all’allora arcivescovo di Ravenna-Cervia, card. Ersilio Tonini, Ghizzoni individua nella carità il motore del suo sacrificio: “è stato un amore più grande” di lui: “lo stesso amore assoluto con cui Dio li aveva amati” a spingerlo a preferire la morte all’infedeltà al suo mandato pastorale. Quello stesso amore che Dio ha per tutti gli uomini, ha precisato mons. Ghizzoni. Morì “in odium fidei” o in “odium caritatis”, si è chiesto l’arcivescovo? “Nella realtà della vita cristiana, come nella vita di don Minzoni – ha specificato – le due virtù teologali fede e carità sono presenti in modo indissociabile, poiché una alimenta l’altra e ne riceve concretezza”.

Don Minzoni (Foto Giampiero Corelli)

“Appassionato, coraggioso, innovatore”. Come lo ha descritto il card. Zuppi nell’omelia della Messa per il Centenario, don Minzoni, ha detto Ghizzoni, è stato un “prete romagnolo, ravennate, appassionato, coraggioso, innovatore, colto, sensibile alle sofferenze della sua gente e ai movimenti ecclesiali e culturali del suo tempo. Uno dal grande cuore verso i poveri e gli emarginati, gli ultimi, pronto a difendere a ogni costo la libertà della Chiesa e della sua missione, amico di don Angelo Lolli con il quale condivise la passione per i poveri, e attento conoscitore della dottrina sociale della Chiesa”

Martire della carità. Un “martire della carità”, nelle sue molteplici forme: quella pastorale, sulla linea della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes ma soprattutto della Evangelii Gaudium di Papa Francesco; la carità educativa con la quale creò “un oratorio per i giovani, disorientati nel dopoguerra”; quella “politica” che lo portò a impegnarsi per “rendere la società più rispettosa della dignità della persona umana”, la carità “sociale”, evidente nel suo impegno per la cooperativa agricola cattolica e nella cassa rurale e infine quella “evangelica” che lo portò a un amore preferenziale e concreto per i poveri, i piccoli, le donne, i giovani. “Una gran bella spina nel fianco – ha concluso mons. Ghizzoni – per chi avrebbe voluto dominare e addormentare la società civile e la comunità cristiana, sottometterle e guidarle secondo interessi politici di parte”. La consapevolezza di essere di fronte a un martirio è stata chiara sin da subito per don Minzoni, ha spiegato il postulatore, padre Festa, sia nei testimoni dell’epoca sia in autorevoli voci della Chiesa: lo si coglie dai due discorsi di Giovanni Paolo II, dalle parole del commissario Asci (Associazione scout cattolici italiani) di allora, Gardini, fino a quelle del maestro, amico e confidente, don Giovanni Mesini. Per questo, la fama di martirio è la motivazione sulla quale si basa l’intera causa.

La radice del suo martirio: la testimonianza del Vangelo. “Il motivo materiale che ha portato all’attentato era dare una lezione a don Minzoni, il prete che non si era adeguato alle idee e alle proposte educative che stavano prendendo il sopravvento – ha detto padre Festa -. Ma questa ragione “politica” va inquadrata all’interno di una lettura teologica. Quello di don Minzoni è un martirio che ha la sua origine in quelle motivazioni politiche ma trova la sua radice ultima nell’offerta della vita per la testimonianza del Vangelo. La lettura che venne fatta subito dopo l’attentato restituisce questa immagine di un martirio: dare la vita “per i propri amici”, sull’esempio di Gesù Cristo”.

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