Sinodo e disabilità. Rita Minischetti (referente Cei): “Nella Chiesa tutti devono poter fare quello che possono”

Rita Minischetti è la referente delle persone con disabilità della Cei al Sinodo dei Vescovi. Quarantuno anni compiuti da poco, animatrice, ballerina, sportiva, cantante e prossima catechista, Rita è chiamata a un compito importante: quello di dare voce alle tante persone con disabilità che auspicano un cambiamento nella Chiesa

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Sono molto emozionata di avere intorno a me tante persone da tutto il mondo”. Rita Minischetti è la referente delle persone con disabilità della Cei al Sinodo dei Vescovi. Quarantuno anni compiuti da poco, animatrice, ballerina, sportiva, cantante e prossima catechista, Rita è chiamata a un compito importante: quello di dare voce alle tante persone con disabilità che auspicano un cambiamento nella Chiesa. “Sono attenta a come si comportano le persone e in particolare i ragazzi con qualche difficoltà, soprattutto quando partecipano alla messa. Quando sto in chiesa – racconta Rita, che è nata con la sindrome di Down – mi sento parte di qualcosa di più grande, qualcosa che mi fa stare bene.

C’è un bambino autistico, ad esempio, che sale sull’altare per leggere le preghiere o la Bibbia. Prima non ci riusciva, adesso sì. A volte sbaglia qualcosa, ma è una gioia per tutti noi”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

La chiesa di cui Rita parla è la parrocchia dei Santi Martiri dell’Uganda, nel quartiere romano dell’Ardeatino, guidata da don Luigi D’Errico, che da pochi mesi è stato nominato anche responsabile del Servizio diocesano per la pastorale delle persone con disabilità del Vicariato di Roma. E avrebbe anche diritto ad essere chiamato con il titolo di monsignore, ma non vuole sentirne parlare: “Lo Spirito Santo possa davvero guidare tutte le persone che si riuniranno a Roma. Rita ha le idee chiare, se ascoltassero lei tante situazioni cambierebbero. Ha la gioia di fare le cose…”. E Rita ha davvero le idee chiare: “Tutti si sentono contenti nel poter fare quello che gli piace. E hanno diritto di farlo. Tutti”. Nel campo di basket della parrocchia, Rita si allena con ragazze e ragazzi di ogni età e condizione, perché ai Santi Martiri dell’Uganda funziona così: tutti entrano e tutti condividono, non ci sono categorie o differenze. Niente oratorio per persone con disabilità, catechesi per bambini diversi. Si sta insieme per come si è. Anche a messa, quando la domenica capita che un giovane con problemi del neuro sviluppo serva all’altare o la piccola Benedetta giri tra i banchi durante la celebrazione e si soffermi ad accarezzare i fiori:

“A poco a poco sta imparando i tempi della liturgia e la fatica delle relazioni – spiega don Luigi –, come tutti i nostri ragazzi. Abbiamo scelto di spalancare le porte, di far entrare le persone. Non i normodotati o i disabili, che poi vai a capire la differenza. Dobbiamo riformare davvero la Chiesa per riformare la società. I quartieri popolari sono sempre meno credenti, le periferie sono abbandonate. I poveri fanno la storia, i padroni la raccontano. Per questo c’è bisogno della nostra presenza”.

Rita fa anche parte del coro parrocchiale, che dal 2015 anima le celebrazioni eucaristiche ma partecipa anche a concerti e rassegne sonore. È un coro particolare: aperto a tutti, anche a chi non è perfettamente intonato, vince premi ogni anno per la qualità delle sue esibizioni. “Mi piace tanto cantare e stare tra amici. Del coro fanno parte persone di tutte le età, dai bambini agli anziani. Ho ritirato uno dei premi dalle mani di mons. Marco Frisina, sono stata contenta per tutti noi”. Tantissimi i nomi e i volti di amici e conoscenti che la memoria perfetta di Rita conserva con cura. Come quello di Stefano, un ragazzone grande e grosso che quando si arrabbia spacca tutto. Ma in compagnia di Rita si calma, è ragionevole e tranquillo. Tenta sempre di sfilarle gli occhiali, è un gesto automatico: “Un po’ di paura ce l’ho, ma sto attenta. Insieme a lui sto bene. E lui è buono con me”.

Al campo estivo di luglio, Rita si è occupata di preparare la merenda per i ragazzi e di animare i giochi. Ma più di ogni altra cosa, ha un sogno nel cassetto: lavorare come barista. Con una pedana dietro al banco, per poter servire i clienti a un’altezza giusta, e tanta voglia di darsi da fare. Un sogno che potrebbe trasformarsi in realtà, se il progetto portato avanti da don Luigi alla Falcognana (frazione di Roma) riuscirà a prendere forma: “È un luogo inclusivo. Ci sarà uno spazio per il Dopo di noi, la possibilità di fare impresa sociale con gli animali, una struttura che ospiterà delle religiose. Un luogo aperto, che Roma non ha. Finora non abbiamo avuto finanziamenti, e stiamo facendo tutto di tasca nostra. Le persone stanno già venendo e l’aspettativa è grande. Voglio che tutti stiano insieme, senza distinzioni. Il Dopo di noi avrà i suoi locali, ma accanto ci saranno le persone che vogliono soggiornare a Roma qualche notte o gli scout che allestiscono un campo. I ragazzi possono venire per una festa o per trascorrere un fine settimana.

La Chiesa deve mostrare che ognuno di noi può fare una cosa buona per gli altri. Senza dividere”.

“Vorrei che tutti potessero fare tutto nella Chiesa, che ognuno potesse fare quello che può e che vuole. È bello come organizza la via don Luigi, dovrebbe essere così anche altrove”, conclude Rita con un sorriso, mentre don Luigi ricorda una foto di don Lorenzo Milani che cammina per mano con Marcellino: “Non parlava, tutti credevano fosse ritardato e irrecuperabile. Marcellino amava le arance, ma don Milani non gliele dava. Amici e parenti lo invitavano a farlo, ma lui niente. E gli diceva: ‘Io ti voglio più bene di tutti, perché voglio che tu vai avanti’. E l’arancia un giorno gliela chiese. È l’unico bambino in foto che don Milani prendeva per mano. Questa è la Chiesa”.

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