Assisi: in ascolto delle “vite che parlano”

Si sono svolte ad Assisi le Giornate nazionali di formazione e spiritualità missionaria. Testimonianze da diversi Paesi e una riflessione corale sulla Chiesa oggi e sull’impegno alla evangelizzazione e promozione umana

(Foto Missio)

Quattro giorni per riflettere sul presente e il futuro della missio ad gentes nel contesto attuale, con le trasformazioni in atto nel mondo e nella vita della Chiesa. Si sono svolte ad Assisi le Giornate nazionali di formazione e spiritualità missionaria promosse dall’Ufficio nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese (Cei) presso la Domus Pacis (25-28 agosto). L’appuntamento, giunto alla ventesima edizione, è stato dedicato in particolare ad approfondire le tematiche racchiuse nello slogan della Giornata missionaria mondiale 2022 “Vite che parlano” e si è svolto in presenza (120 convegnisti) e in streaming (oltre 60 partecipazioni).

Mettersi in ascolto. Don Giuseppe Pizzoli, direttore generale di Missio, ha introdotto i lavori ricordando l’importanza del “mettersi in ascolto” dei testimoni, portatori di semi di Vangelo pur tra le molte crisi attuali. Ne ha parlato don Mario Antonelli, vicario episcopale per l’Educazione e la celebrazione della fede della diocesi di Milano: “siamo di fronte a un scenario ‘del cambiamento’ – ha detto Antonelli –. In Italia e in particolare in alcune regioni, le chiese non sono così vuote e questo ci lascia pensare che la crisi sia ancora lontana. Invece il rischio è presente, come anche la sfida di saper rinnovare la fedeltà al Vangelo di Gesù”.

“Ospiti più che inviati”. Nella seconda giornata, venerdì, dopo l’apprezzata lectio della teologa Laura Verrani sulla figura di san Paolo, don Michele Roselli, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Torino, ha parlato di “una teologia della grazia di Dio e della universalità della salvezza: c’è una parola di grazia che Dio continua a rivolgere al mondo. La vita è un luogo teologico perché in essa si può ascoltare l’eco della Parola”. Nel pomeriggio un lungo incontro sulla Chiesa oggi e le prospettive future in relazione alla missione, con gli interventi di suor Luigia Coccia, superiora delle missionarie Comboniane, che ha sottolineato: “la missione è destinata a qualunque uomo o donna, solo così si può fare un cammino che umanizza chi incontriamo e noi stessi. Il tempo ci porterà ad essere piccole comunità cristiane immerse nella società come lievito nella pasta”. Don Cesare Baldi della diocesi di Novara, già direttore di Caritas Algeria, si è chiesto, come è cambiata l’ad gentes a 32 anni dalla Redemptoris Missio con molte indicazioni importanti “dal patrimonio di insegnamenti conciliari, per ritrovare una forte spinta all’unità spirituale dell’umanità”. Quindi è risuonata la testimonianza di Sara Foschi, della Comunità Giovanni XXIII, sui è seguita Daniela Chiara, piccola sorella di Gesù, la quale ha raccontato la missione tra i rom in un campo nomadi dove le missionarie vivono in una roulotte: “piuttosto che ‘inviati’ vogliamo essere ospiti, anzi sorelle. Il Vangelo è vivere con persone a cui nessuno dà ascolto”. La realtà delle comunità e la collaborazione dei laici alla vita della Chiesa brasiliana è stata al centro della testimonianza di don Olindo Furlanetto, fidei donum per 30 anni in Brasile. “Ero partito con molto entusiasmo e mi sono accorto che sono stati i poveri di quella regione a evangelizzare me”.

Cambiare passo. La giornata di sabato 27 agosto, è stata aperta dalla messa presieduta da monsignor Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari e presidente della Fondazione Missio. “Cerchiamo insieme il senso di questo tempo come Chiesa, come cristiani che attendono il Signore – ha detto il vescovo – a volte delegando a questo arrivo la soluzione dei problemi. Ma i segni di Dio ci stupiranno sempre. La Chiesa deve cambiare passo, deve abitare l’adesso e spendere la missionarietà con la capacità di guardare al futuro». La teologa Serena Noceti ha ricordato che “60 anni dopo, siamo ancora nel grande cantiere del Vaticano II e alcuni grandi temi come quello dell’ad gentes sono al centro della sfida della Chiesa universale”. La riforma di Papa Francesco è, a suo avviso, espressione del bagaglio conciliare, si muove su un paradigma missionario e sulla prassi sinodale. Nel pomeriggio la sessione “Collegialità e sinodalità come parte della natura della Chiesa”, è stata dedicata all’ecumenismo. Commentando le testimonianze di Ilenya Goss, pastora valdese, e di Alexandru Marius Crisan, ricercatore per l’ecumenismo dell’università Lucian Blaga di Sibiu in Romania, don Cristiano Bettega, delegato vescovile per l’area Testimonianza e impegno sociale dell’arcidiocesi di Trento, ha ricordato che “ortodossi, valdesi e cattolici usano la parola sinodo ma non con lo stesso significato, e nella prassi ci sono punti importanti da mettere a fuoco. Sempre più dovremo mettere in pratica la prassi sinodale, come manifestazione dell’apostolicità, della pluralità della Chiesa”.

Chiesa universale. Chiudendo i lavori, don Pizzoli, citando il decreto conciliare Ad Gentes che mette in evidenza la cooperazione e lo scambio tra le Chiese, ha dichiarato: “nella Chiesa italiana sono presenti 1.500 sacerdoti diocesani in convenzione provenienti da altri Paesi, metà dei quali inseriti nelle parrocchie per il servizio pastorale; ci sono inoltre circa 5.000 religiosi e moltissime religiose e laici che vengono da altre culture ed esperienze di Chiese. Dobbiamo imparare a convivere con questa realtà, lasciarci educare: siamo sempre e soltanto una sola Chiesa, non più eurocentrica ma globalizzante e globalizzata, in una parola universale”.

*redazione Popoli e Missione

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