Emi-Editrice missionaria italiana. Dotti: “La immagino come una casa aperta, dove si generi pensiero”

“Attraverso libri, conferenze, mostre, seminari vorremmo creare sempre più luoghi dove le parole non si riducono a slogan, ma accendano la passione per il cambiamento. Non andiamo alla ricerca di lettori anonimi, dunque, ma di relazioni concrete, vita”, dice al Sir il nuovo direttore editoriale

Marco Dotti è il nuovo direttore editoriale di Emi-Editrice missionaria italiana. Quarantanove anni, docente di Professioni dell’editoria presso l’Università di Pavia, è stato per oltre dieci anni “firma” del mensile Vita non profit, occupandosi in particolare di cooperazione e cultura. Già socio laico di Emi, entra anche nel Consiglio di amministrazione della Casa editrice. “Una nomina importante e di alto profilo, che rafforza ulteriormente l’impegno di Emi ad essere un punto di riferimento culturale e missionario dell’intera società italiana”, spiega padre Rosario Giannattasio, presidente della Casa editrice. A Dotti abbiamo chiesto quali sono le sfide oggi per una Casa editrice missionaria.

(Foto: Redazione)

Il motto della Emi è “parole per cambiare il mondo”. Come pensa di contribuire a questa mission?

Per una casa editrice, così come per ogni intrapresa culturale, le parole sono il fondamento di un patto. Quelle scritte – nei libri – sono un patto col lettore. Quelle dette sono quello e… qualcosa di più: si richiamano a un bisogno di fiducia reciproco e sempre da rinnovare. Fiducia (nelle competenze e nella conseguenza tra pensieri e azioni) sempre più necessaria in una società dove il criterio guida sembra essere la disintermediazione. Per questo, attraverso libri, conferenze, mostre, seminari vorremmo creare sempre più luoghi dove le parole non si riducono a slogan, ma accendano la passione per il cambiamento. Non andiamo alla ricerca di lettori anonimi, dunque, ma di relazioni concrete, vitali: questo è il piccolo, modesto, ma speriamo altrettanto concreto contributo che con Emi vorremmo dare. Io darò il mio contributo come direttore, ma Emi è una comunità e sarà la comunità a trovare modi e forme sempre più opportune per continuare il cammino.

Quali sono oggi le sfide editoriali per una Casa editrice missionaria?

Gettare ponti, là dove altri dividono. Creare occasioni di incontro e confronto là dove altri promuovono lo scontro.

E farlo con tutti gli strumenti che un settore in grande trasformazione ci mette a disposizione. Al di là delle sfide contingenti – che sono le sfide di ogni casa editrice: sfide commerciali, organizzative, di mercato – una casa editrice missionaria deve sempre tenere allineati mezzi e fini. Deve essere innovativa e al tempo stesso fedele – mi permetta il gioco di parole – alla sua missione. Una missione che consiste nel generare processi di pensiero, non certo nell’occupare spazi o nicchie. Ecco, quest’ultima è la sfida più importante dal mio punto di vista.

Lei sarà supportato dal Consiglio editoriale missionario di Emi: quale ruolo avrà?

Avrà un ruolo decisivo, al pari del gruppo di lavoro della redazione che è composto da persone in cui credo molto. Abbiamo – tutti – bisogno di percorsi di compartecipazione, di intelligenze multiple, di gruppi aperti ma coerenti con una missione che aiutino nel discernimento. Il Consiglio sarà pertanto un ulteriore passo di questo cammino. E sarà un antidoto a quello che C.S. Lewis individuava come idra a due teste dell’autoreferenzialità: l’individualismo e le cerchie chiuse.

Nel 2023 Emi celebrerà i primi cinquant’anni di attività: in che modo la sua nomina darà nuovo impulso a percorsi innovativi, in un mondo comunicativo sempre più multimediale? E in quali ambiti?

Uno dei punti di forza di Emi sono gli eventi. Da tempo stiamo sperimentando – con successo – forme ibride, ben strutturate di eventi: non solo presentazioni, ma webinar, seminari, conferenze. Credo che la forma multimediale o crossmediale sia già nelle nostre corde. Andrà rafforzata. Con una particolare attenzione al ruolo delle piattaforme, che non sono mai neutre o neutrali. Per questo anche nella scelta degli strumenti abbiamo prestato grande attenzione. Ora si tratta di creare un piccolo ecosistema con altre realtà che si muovono con questi criteri. Quanto ai temi, penso che

il dialogo interculturale e interreligioso e le tematiche dell’inclusione sociale e della non violenza saranno in futuro leve sempre più determinanti per noi.

Anche per i percorsi editoriali e laboratoriali, che avvieremo presto, dedicati ai più piccoli e alla scuola Emi ha in catalogo – un catalogo storico di oltre duemila titoli – vere e proprie perle che siamo chiamati a riattualizzare. Penso alle fiabe che i missionari raccoglievano sul campo, per consegnarle al domani, per evitare che “culture senza storia” si ritrovassero ad essere “culture senza un domani”. La sfida dell’innovazione, per noi, sarà quella di trovare abiti nuovi – coinvolgendo illustratori della nuova generazione, ad esempio – per questi gioielli culturali, patrimonio unico al mondo: tracce di passato che diventino semi di futuro.

Quale futuro immagina per Emi? Come far in modo che sia sempre più un punto di riferimento culturale e missionario dell’intera società italiana?

Immagino Emi come una casa aperta. Un luogo in cui non si “producano” solo libri, ma si generi pensiero.

Per questo insisto molto sull’importanza si tutto ciò che è apparentemente collaterale all’oggetto-libro (conferenze, seminari, webinar) ma in realtà contribuisce a dare al libro quella dimensione di relazionalità che credo dovremmo recuperare. D’altro canto, in termini più generali, la pandemia e il diluvio di fake news circolanti ci hanno insegnato una volta di più che dobbiamo guardare il mondo e farcelo raccontare da chi ha esperienza concreta, diretta. Oggi tutto è mediato, siamo in quella che Hermann Hesse nel “Gioco delle perle di vetro” chiama “la società del commento”. A forza di commentare, la realtà ci è sfuggita di mano. Chi ha più esperienza concreta, diretta, dei missionari di ciò che accade negli angoli più remoti del mondo? Il loro racconto serve a tutti. Sia in termini di conoscenza della realtà, sia – ed è il punto chiave – di esperienza dell’alterità.

Che contributo può dare Emi per far conoscere il vero volto della Chiesa in uscita, “missionaria per sua natura”?

Praticare attraverso gli strumenti editoriali quel “dinamismo” che nell’Evangelii Gaudium (paragrafo 81) è indicato come uno degli antidoti più potenti all’“accidia egoista”. Un dinamismo che coincide con la vera sostanza di una parola spesso abusata: libertà. Ben consapevoli – mi sia consentita una citazione di Gustave Thibon, il filosofo contadino che fu caro a Simone Weil – che “niente è più instabile e più provvisorio di questa incredibile facoltà. Essa ci viene data perché muoia, perché sia uccisa. Tutto dipende dal livello al quale soccombe: in basso, la schiavitù; in alto, l’amore. I santi si affrettano a metterla nelle mani di Dio perché gli idoli non la portino via”.

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