L’Osservatore Romano: gli effetti “sorprendenti” di un anno di pandemia

Il problema dell'Osservatore Romano è che l'attuale direttore proviene proprio dal mondo della scuola e sente molto la mancanza della “presenza”, delle riunioni di redazione, delle conversazioni nei corridoi, dove il non detto e la mimica facciale spesso è più eloquente di ciò che viene verbalizzato. Oggi molti si chiedono come sarà il “ritorno” alle condizioni di prima della pandemia, ma forse la domanda è, purtroppo, ancora in anticipo, sapendo che come ha ripetuto il Papa: dalla crisi non si esce mai uguali a prima, o migliori o peggiori. E che soprattutto c'è solo una cosa peggiore della crisi, sprecarla

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Nei primi giorni del 2020, tornati dalle vacanze di Natale, organizzai una serie di riunioni della redazione dell’Osservatore Romano per presentare ai miei dipendenti il programma, particolarmente impegnativo, che avevo progettato di realizzare nel corso di quell’anno. Avevamo di fronte diverse sfide: il rinnovo del sistema editoriale (un upgrade del sistema tecnologico), il rinnovo del formato delle pagine e il cambiamento dell’impostazione del giornale (meno notizie, più approfondimenti), la sostituzione della vecchia rotativa con le nuove stampanti digitali e infine il trasferimento della sede, dall’antica redazione all’interno delle mura leonine a Palazzo Pio, già sede della Radio Vaticana. Per fare tutto questo avremmo avuto a disposizione circa sei mesi: giugno 2020 era la deadline per la riforma e il rilancio del quotidiano. Niente male: ognuna di queste sfide, infatti, già da sola, avrebbe potuto creare uno stato di fibrillazione di lunga durata, insomma ero preoccupato ma ancora non sapevo quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Ora lo sappiamo tutti, a febbraio scoppiava in Italia e nel mondo la pandemia da Covid-19.

Uno degli effetti più duri dell’impatto della pandemia per la vita dell’Osservatore Romano è stata la sospensione della stampa: il quotidiano da fine marzo non è uscito in forma cartacea, non è stato più venduto nell’edicole e la sensazione che si diffuse fu quella di chiusura definitiva, non solo del giornale “di carta”, ma del quotidiano tout-court.

Ma bisogna riconoscere che in generale gli effetti della pandemia sono stati sorprendentemente positivi: la redazione, sottoposta allo stress fisico ed emotivo dello stravolgimento provocato dalla pandemia, ha risposto bene anche a tutte le altre sfide, ce l’abbiamo fatta. Non siamo stati puntuali e da giugno siamo slittati a settembre ma il passaggio è avvenuto: il 4 ottobre siamo tornati con la stampa con il nuovo formato e l’11 novembre ci siamo trasferiti nella nuova sede. Nel frattempo, proprio a causa della sospensione momentanea della stampa, abbiamo aumentato la nostra presenza online con la creazione dell’App e della Newsletter dell’Osservatore Romano che sono sbarcati sul digitale con una buona prestazione e numeri promettenti.

La vera grande novità portata dalla pandemia, dal punto di vista del lavoro, come è noto, è stato l’avvento del cosiddetto smart working. La redazione di fatto si è svuotata e il 90% dei redattori stanno da circa un anno lavorando, a turno, da casa. Il giornalismo non è come la scuola, è un lavoro che si può fare anche “da remoto”.

Il problema dell’Osservatore Romano è che l’attuale direttore proviene proprio dal mondo della scuola e sente molto la mancanza della “presenza”, delle riunioni di redazione, delle conversazioni nei corridoi, dove il non detto e la mimica facciale spesso è più eloquente di ciò che viene verbalizzato. Oggi molti si chiedono come sarà il “ritorno” alle condizioni di prima della pandemia, ma forse la domanda è, purtroppo, ancora in anticipo, sapendo che come ha ripetuto il Papa: dalla crisi non si esce mai uguali a prima, o migliori o peggiori. E che soprattutto c’è solo una cosa peggiore della crisi, sprecarla.

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