Il Papa in Iraq e il ricordo della visita in Albania: il tratto comune della fratellanza religiosa

Abbiamo visto Pietro che conferma i suoi fratelli nella fede, soprattutto nei momenti di smarrimento e sofferenza. Come il Papa nell’introduzione della sua “Fratelli tutti”, ricordando il viaggio di Francesco d’Assisi ed il suo incontro con il Sultano Malik-al-Kemal, così abbiamo visto quest’altro Francesco che, dopo 800 anni, compie un viaggio di pace, di amicizia e d’incontro con chi è lontano, diverso, perseguitato e martoriato, ma pur sempre un fratello da amare e a cui stare vicino, particolarmente nei tratti più bui della Storia

(Foto Vatican Media/SIR)

La visita del Papa in Iraq mi ha fatto rivivere, in emozioni e riflessioni, il viaggio compiuto in Albania il 21 settembre 2014. Sicuramente si tratta di due contesti differenti, ma uniti dalla multiculturalità e multireligiosità. Nel viaggio di ritorno dall’Albania, alla domanda di una giornalista sulla convivenza religiosa nel nostro Paese, il Papa pronunciò queste parole: “… tutte e tre le componenti religiose (in Albania) hanno dato testimonianza di Dio e adesso danno testimonianza della fratellanza”. Ecco la parola chiave, che il Papa ha voluto ribadire anche nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”: fratellanza, che trova il suo humus comune non solo nella fede nello stesso Dio, ma anche nella stessa umanità.

Le immagini trasmesse dall’Iraq ci hanno fatto vedere l’entusiasmo e la gioia della popolazione irachena, ma anche la gentilezza, sia dei capi di Stato sia dei rappresentanti delle religioni incontrate dal Papa. Ho visto in ciò un grande desiderio di normalità, di pace e di convivenza pacifica tra comunità di diversa fede ed etnia. I gesti compiuti dal Papa, gli incontri avuti con persone significative, ma semplici, del popolo iracheno, con le comunità martoriate, sono un segno di incoraggiamento che viene da chi ha dimostrato coerenza nel suo magistero in fatto di pace e di accoglienza delle persone sofferenti e perseguitate dalle guerre, costrette a oltrepassare i confini delle proprie terre per una vita migliore.

Per tornare all’analogia tra il viaggio del Papa in Iraq ed in Albania, uno dei punti affrontati da Francesco è stato quello dell’allontanamento forzato dei cristiani dalle loro terre, dello svuotamento del Paese a causa della persecuzione e della precarietà. Penso allora a tanti giovani e professionisti che dall’Albania vogliono andare all’estero e mi risuona ancora attuale l’appello del Papa a cercare un futuro nel proprio Paese, nei Paesi di provenienza. Molti di coloro che vogliono andar via e vivere altrove, se da un lato seguono un diritto legittimo all’emigrazione, dall’altro devono però sentirsi responsabili di ciò che lasciano: dello sradicamento dalle radici culturali, religiose e storiche. È questo uno dei problemi più marcati dei Paesi poveri, non solo del Medio Oriente, ma anche dei Balcani ed in modo particolare dell’Albania. Per queste ragioni, chi ha responsabilità civili, politiche e religiose nei nostri Paesi ha il dovere di infondere speranza. E che sia una speranza concreta, che vuol dire lavoro, condizioni di libera impresa, possibilità di istruzione, ecc.

Rimarranno impresse le immagini del Papa tra le macerie a Qaraqosh: suscitano fiducia per il futuro.

Abbiamo infatti visto Pietro che conferma i suoi fratelli nella fede, soprattutto nei momenti di smarrimento e sofferenza. Come il Papa nell’introduzione della sua “Fratelli tutti”, ricordando il viaggio di Francesco d’Assisi ed il suo incontro con il Sultano Malik-al-Kemal, così abbiamo visto quest’altro Francesco che, dopo 800 anni, compie un viaggio di pace, di amicizia e d’incontro con chi è lontano, diverso, perseguitato e martoriato, ma pur sempre un fratello da amare e a cui stare vicino, particolarmente nei tratti più bui della Storia.

Bisogna ringraziare il Papa per questo viaggio e per il coraggio nell’affrontarlo, nonostante soffiassero i venti contrari della pandemia e del terrorismo.

Nell’era globale, fedele allo spirito della “Gaudium et spes”, ecco allora il compito della Chiesa di Cristo: proclamare la grandezza somma della vocazione dell’uomo e affermare la presenza in lui di un germe divino, offrire all’umanità la cooperazione sincera al fine di stabilire quella fraternità universale che corrisponde a tale vocazione (cfr. GS 3).

(*) vescovo di Rrëshen

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