Papa Francesco: “Siamo analfabeti di bontà”

"Siamo figli amati", e non "analfabeti di bontà". Così il Papa, nell'omelia della messa di Natale, ha tracciato l'identikit del cristiano. Da stanotte, come scrive Emily Dickinson, "la residenza di Dio è accanto alla mia". "Ogni scartato è figlio di Dio". "Il tempo che abbiamo non serve a piangerci addosso, ma a consolare le lacrime di chi soffre"

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Da stanotte, “la residenza di Dio è accanto alla mia. L’arredo è l’amore”. In una basilica di San Pietro popolata di pochi fedeli a causa delle misure restrittive per la pandemia in corso, il Papa ha scelto la poetessa statunitense Emily Dickinson per concludere la sua omelia, in cui usato il “tu” per rivolgersi a ciascuno di noi e commentare il versetto biblico – tratto dal libro di Isaia – che ha fatto da filo conduttore alle sue parole: “Ci è stato dato un figlio”. “Riconoscerti figlio di Dio, figlia di Dio”: è questo “il punto di partenza di ogni tua rinascita, il cuore indistruttibile della nostra speranza, il nucleo incandescente che sorregge l’esistenza: al di sotto delle nostre qualità e dei nostri difetti, più forte delle ferite e dei fallimenti del passato, delle paure e dell’inquietudine per il futuro, c’è questa verità: siamo figli amati”. Noi, invece, “insaziabili di avere, ci buttiamo in tante mangiatoie di vanità”. E così diventiamo “analfabeti di bontà”.

“Si sente spesso dire che la gioia più grande della vita è la nascita di un bambino”, l’esordio dell’omelia: “È qualcosa di straordinario, che cambia tutto, mette in moto energie impensate e fa superare fatiche, disagi e veglie insonni, perché porta una felicità indescrivibile, di fronte alla quale niente più pesa. Così è il Natale: la nascita di Gesù è la novità che ci permette ogni anno di rinascere dentro, di trovare in lui la forza per affrontare ogni prova”. “Sì, Dio viene al mondo come figlio per renderci figli di Dio. Che dono stupendo! Oggi Dio ci meraviglia e dice a ciascuno di noi: ‘Tu sei una meraviglia’. Sorella, fratello, non perderti d’animo. Hai la tentazione di sentirti sbagliato? Dio ti dice: ‘No, sei mio figlio!’. Hai la sensazione di non farcela, il timore di essere inadeguato, la paura di non uscire dal tunnel della prova? Dio ti dice: ‘Coraggio, sono con te’. Non te lo dice a parole, ma facendosi figlio come te e per te, per ricordarti il punto di partenza di ogni tua rinascita”.

“Solo l’amore di Gesù trasforma la vita, guarisce le ferite più profonde, libera dai circoli viziosi dell’insoddisfazione, della rabbia e della lamentela”,

assicura il Papa. Di fronte alla nostra ingratitudine e alle nostre ingiustizie, il Signore “ci sopravvaluta, e lo fa perché ci ama da morire”: “Non riesce a non amarci. È fatto così, è tanto diverso da noi. Ci vuole bene sempre, più bene di quanto noi riusciamo ad averne per noi stessi. È il suo segreto per entrare nel nostro cuore. Dio sa che l’unico modo per salvarci, per risanarci dentro, è amarci. Sa che noi miglioriamo solo accogliendo il suo amore instancabile, che non cambia, ma ci cambia”.

“Il Figlio di Dio è nato scartato per dirci che ogni scartato è figlio di Dio”,

incalza Francesco spiegando il motivo per cui Gesù ha scelto una mangiatoia come culla: “Per farci capire fino a dove ama la nostra condizione umana: fino a toccare con il suo amore concreto la nostra peggiore miseria”. Il Figlio di Dio, in altre parole, “è venuto al mondo come viene al mondo un bimbo, debole e fragile, perché noi possiamo accogliere con tenerezza le nostre fragilità. E scoprire una cosa importante: come a Betlemme, così anche con noi Dio ama fare grandi cose attraverso le nostre povertà. Ha messo tutta la nostra salvezza nella mangiatoia di una stalla e non teme le nostre povertà: lasciamo che la sua misericordia trasformi le nostre miserie!”.

Noi, invece, “insaziabili di avere, ci buttiamo in tante mangiatoie di vanità,

scordando la mangiatoia di Betlemme”. “Quella mangiatoia, povera di tutto e ricca di amore, insegna che il nutrimento della vita è lasciarci amare da Dio e amare gli altri”, il monito: “Gesù ci dà l’esempio: lui, il Verbo di Dio, è infante; non parla, ma offre la vita.

Noi invece parliamo molto, ma siamo spesso analfabeti di bontà”.

Betlemme, che significa “Casa del pane”, Dio sta in una mangiatoia, perché per vivere abbiamo bisogno di lui come del pane da mangiare: “Abbiamo bisogno di lasciarci attraversare dal suo amore gratuito, instancabile, concreto”. “Quante volte invece, affamati di divertimento, successo e mondanità, alimentiamo la vita con cibi che non sfamano e lasciano il vuoto dentro!”, il grido silenzioso del Papa.

“Dio è nato bambino per spingerci ad avere cura degli altri”.

”Chi ha un bimbo piccolo, sa quanto amore e quanta pazienza ci vogliono”, l’esempio scelto da Francesco: “Occorre nutrirlo, accudirlo, pulirlo, prendersi cura della sua fragilità e dei suoi bisogni, spesso difficili da comprendere. Un figlio fa sentire amati, ma insegna anche ad amare. Il suo tenero pianto ci fa capire quanto sono inutili tanti nostri capricci, e ne abbiamo tanti! Il suo amore disarmato e disarmante ci ricorda che

il tempo che abbiamo non serve a piangerci addosso, ma a consolare le lacrime di chi soffre”,

il commento all’immagine di Gesù bambino adagiato nella mangiatoia. “Dio prende dimora vicino a noi, povero e bisognoso, per dirci che servendo i poveri ameremo lui”,  conclude il Papa: “Tu mi ami come sono, non come mi sogno. Abbracciando Te, Bambino della mangiatoia, riabbraccio la mia vita. Accogliendo Te, Pane di vita, anch’io voglio donare la mia vita. Tu che mi salvi, insegnami a servire. Tu che non mi lasci solo, aiutami a consolare i tuoi fratelli, perché da stanotte sono tutti miei fratelli”.

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