Diocesi di Genova. Marco Tasca: “Spero di avere la grazia di esprimere sempre la verità con tanta carità”

Mons. Marco Tasca verrà consacrato arcivescovo per l’imposizione delle mani del suo predecessore nell'arcidiocesi di Genova, il card. Angelo Bagnasco, stasera, sabato 11 luglio, alle ore 18, nella solenne concelebrazione eucaristica in piazza della Vittoria. Contestualmente, avverrà il suo ingresso in diocesi. In vista del suo insediamento il nuovo arcivescovo ha rilasciato al settimanale cattolico di Genova "Il Cittadino" una lunga intervista pubblicata in un numero speciale per l'occasione. Il Sir ne ripropone ampi stralci

“La notizia della nomina di Padre Marco Tasca ad arcivescovo di Genova, per noi e per la nostra Provincia religiosa, è motivo di onore e di orgoglio”. Così ha scritto nel sito della Provincia religiosa del Nord Italia padre Roberto Brandinelli, vicario provinciale. Abbiamo in realtà constatato, attraverso i mass media, come questa notizia sia stata motivo di gioia e di orgoglio per tutti gli appartenenti all’Ordine dei Frati Minori conventuali.
Confido che è stato per me molto bello vedere come la famiglia religiosa a cui appartengo da oltre quarant’anni abbia partecipato in modo così affettuoso e sentito agli eventi che, di recente, mi hanno visto protagonista. Sento di dire che questa nomina episcopale non riguarda solo me, ma coinvolge tutta la famiglia dei frati che mi ha accolto tanti anni fa, mi ha accompagnato nella vita e mi ha offerto tante possibilità. Voglio cogliere quest’occasione per dire grazie all’Ordine dei Frati Minori Conventuali per il bene che mi ha voluto e che continua a manifestarmi, soprattutto adesso, sostenendomi spiritualmente nel momento in cui mi accingo ad accogliere l’alto ministero a cui sono chiamato.

La pandemia ha colpito il mondo intero ed è il segnale che questo “mondo è malato”, come ha detto Papa Francesco nel Messaggio per la 15ª Giornata del Creato. Di fronte ad una terra che appare sempre più inquinata e sfruttata dagli egoismi umani, i discepoli di San Francesco cosa possono offrire ai popoli del Terzo mondo ed insegnare alle nazioni ricche, anch’esse provate dal Covid-19 che ha procurato centinaia di migliaia di vittime?
Penso che sia troppo presto per una riflessione approfondita sulla pandemia, perché non è ancora finita ed è ancora troppo vicina la sofferenza come pure le ferite che ha causato. Basta vedere tutte le cautele che ancora ci sono richieste, anche per la celebrazione dell’ordinazione episcopale.
Ci viene chiesta solidarietà. Solidarietà con chi ha sofferto la morte dei propri cari senza poterli vedere e abbracciare per l’ultima volta. Solidarietà con le difficoltà di un papà e di una mamma che hanno tre bambini e sono chiusi in un appartamento al quinto piano: una grossissima prova! Dobbiamo ancora “digerire” questa sofferenza, a parer mio abbiamo appena iniziato a gestirla.
Dobbiamo offrire come cristiani, e ancor più come francescani, la testimonianza della “sobrietà” ad un mondo che pare preso dall’ebbrezza di uno sviluppo sconsiderato. Sobrietà è saper dare spazio e opportunità all’altro: mi pare la chiave del vivere da fratelli, sotto lo stesso tetto. Quanti nuovi bisognosi ha generato la chiusura delle attività produttive e quanti poveri già bussano alle nostre porte! Di questi dobbiamo evangelicamente farci carico.
Leggevo l’editoriale di un giornale che mi ha fatto pensare parecchio: “Siamo tutti nella stessa tempesta, ma non siamo tutti sulla stessa barca”. Qualcuno la barca non ce l’ha proprio o, se ce l’ha, fa acqua da tutte le parti; altri, invece, viaggiano tranquilli sul proprio yacht! Le differenze sociali emergono ora con crudezza. Anche chi fino a ieri era considerato un privilegiato, oggi potrebbe non avere nemmeno una “zattera” sociale ed economica di salvataggio. Se noi ci troviamo su una nave, e abbiamo questa fortuna, siamo in grado di porgere la mano a chi non può altrimenti salvarsi? Abbiamo il coraggio di far posto ad altri, tirandoli su dal mare in tempesta, anche se questo ci chiede di stare più stretti e certamente più scomodi?
La dura esperienza della pandemia ci lascia degli insegnamenti di igiene non solo fisica, basti pensare all’uso delle mascherine: abbiamo imparato che se io la metto proteggo te da eventuali virus che espiro, se tu la metti proteggi me. Questa semplice presidio medico diventa una parabola dei nostri giorni: le azioni, anche apparentemente banali, di ciascuno hanno una ripercussione sul benessere altrui. Il mio lavarmi frequentemente le mani non solo mi impedisce di infettare me stesso, ma previene la diffusione del contagio ad altri se per caso sono io a trasportare il virus da una superficie all’altra. Piccoli gesti, anche di rinuncia alla mia personale e di per sé legittima libertà, possono avere conseguenze cruciali, di vita o di morte, per chi mi sta accanto. Se applicassimo queste piccole lezioni anche “in grande”, come cambierebbe la faccia della terra?
Altro punto importante: la riscoperta della preghiera in famiglia. Molti amici e conoscenti me l’hanno testimoniato. La chiusura delle chiese, l’impossibilità di recarsi a Messa, ha provocato tanti a riscoprire che anche in famiglia si può e si deve pregare: leggendo la Parola di Dio, rendendo grazie prima di pranzo o di cena, con il rosario. Spero che questa riscoperta della preghiera familiare continui e si consolidi ancor più.

(Foto: ANSA/SIR)

“Vengo a voi animato dal forte desiderio di vivere con voi in una comunità ecclesiale che costantemente rinnova a Gesù l’accorata richiesta degli apostoli: ‘Mostraci il Padre’”. Queste sono state tra le sue prime parole indirizzate alla Chiesa che è in Genova. Significativo è il motto del suo stemma: “Ostende nobis Patrem”. Un Padre e Pastore – sono ancora le sue parole – “in costante ricerca della comunione, del dialogo, della relazione fraterna”.
Qui entra certamente la mia storia, segnata dalla scelta di vivere “in fraternità”, che vuol dire vivere in relazione e che si riassume nel motto “mostraci il Padre” (Gv 14,8). Esso viene proprio dalla convinzione che ciò lega il Padre e il Figlio è la relazione: c’è un padre perché c’è un figlio e un figlio perché c’è un padre. Non ci si può chiamare “padre” se non perché si ha un figlio. Nella teologia trinitaria la relazione è costitutiva delle persone divine, la relazione è essenziale. Se dunque voglio essere segno del Padre, fedele alla dinamica trinitaria di cui gli esseri umani sono ad immagine e somiglianza, non posso non dare preminenza alla relazione, anche a livello umano, dove le persone sono costitutivamente in relazione con l’altro da sé, relazione che insieme distingue e unifica. “Mostraci”, poi non è “spiegaci”: l’esperienza di Dio e del suo amore è richiesta precedentemente e prioritariamente rispetto alla comprensione e all’intelligenza. Come vedete in questo la mia sensibilità pastorale è formata, in senso esperienziale, dall’impostazione di san Bonaventura: un fatto teologico si pone a fondamento anche dei risvolti psicologici. Il mostrare amore e paternità oggi passa prima di tutto dalla capacità di ascoltare, da un servizio di ascolto semplice, un servizio di chi presta orecchio a chi ha bisogno di parlare e di condividere la propria vita. Questo si riflette anche in uno stile di governo in cui la relazione con gli altri precede la decisione e le decisioni sono, per quanto possibile, un frutto condiviso piuttosto che imposizioni del singolo. La relazione deve essere sempre al centro.

L’arcivescovo è una figura altamente rappresentativa ed ascoltata a Genova: c’è una tradizione di rapporti molto intensi tra vescovo e mass media, siano questi di natura ecclesiale o laica. Già gli operatori della comunicazione l’aspettano, la cercheranno, vorranno conoscerla, ascoltarla…
Ringrazio gli operatori della comunicazione per il loro lavoro, oggi preziosissimo.
A me piacerebbe che i media potessero mettere a fuoco, più che la figura del vescovo, la figura della Chiesa di Genova. Quando mi chiedono: “Cosa pensa lei su questa questione o su quell’altra situazione?”, mi viene da rispondere: “Non è meglio indagare su cosa pensa la Chiesa di Genova di tali questioni?”. Direi addirittura: non cercate i progetti o i sogni del vescovo, ma i sogni e i desideri della Chiesa. Vescovo, presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e laici, impegnati o che faticano a credere ed essere fedeli al loro battesimo. Mi piacerebbe moltissimo che non ci fosse al centro la preoccupazione del “che cosa pensa il vescovo”! Noi vescovi dobbiamo esprimere in comunione l’insegnamento della Madre Chiesa: siamo chiamati ad essere la voce, la bocca di una Chiesa che cammina, riflette e cerca risposte.

Spero perciò di avere la grazia di esprimere sempre la verità con tanta carità

e soprattutto di non attirare riflettori sulla mia persona, ma su quella di Gesù e sulla Chiesa, che ha tempi diversi e metodi diversi da quelli della notizia data in fretta, tempi più lunghi per la consultazione e il discernimento. Per questo chiedo di aver pazienza se non sarò un vescovo che rilascia tante interviste o dispensa estemporanei “pareri”. Preferisco arrivare alle conclusioni con un metodo ecclesiale per cui cercherò, alla fine, di essere la “bocca” di questa Chiesa che si esprime.

Un messaggio per i suoi collaboratori nella pastorale e i fedeli?
Vorrei esortare tutti, in particolare i presbiteri, i diaconi, i religiosi, ma anche tutti i laici, a servire questa Chiesa. Ho sentito una volta da un sacerdote questa frase che mi colpisce ancora: “Gesù Cristo, dalla croce, ha detto una cosa molto importante a chi sta sotto la croce: ‘Tu – afferma Gesù – sei più importante di me, perché io muoio per te’”. Credo che, se fossimo realmente convinti che “tu sei più importante di me” e che “io sono pronto a morire per te”, davvero cambierebbero molte le nostre relazioni e questo darebbe un contenuto profondo al nostro ministero, alla nostra testimonianza.In secondo luogo chiedo a tutti di avere tanta pazienza. Sono consapevole della poca conoscenza che ho della Chiesa particolare che mi è affidata, come pure della poca conoscenza che questa Chiesa ha di me. E proprio qui sta la grande opportunità: conosciamoci! Diamoci occasioni per conoscerci e stare insieme! Mi rendo conto di entrare a far parte di una comunità cristiana che ha una storia secolare, costellata di santi e sante. Far parte di questa Chiesa e di questa storia mi e ci chiede di dare il nostro apporto per aggiungere il nostro tassello contemporaneo a questa grande storia che prosegue, andando avanti insieme.

* direttore de Il Cittadino di Genova

(Intervista originariamente pubblicata su “Il Cittadino” di Genova)

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