Papa all’udienza: “Proteggere i minori perché tutti siamo responsabili”

Si è conclusa con un un appello a “proteggere i minori" dallo sfruttamento sul lavoro l’udienza del Papa, trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca privata e dedicata alla figura di Giacobbe, uomo scaltro che “si è fatto da solo” e che cambia vita dopo aver lottato con Dio. “Lottare con Dio è una metafora della preghiera”, spiega Francesco: “Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio. Nella notte della nostra vita, nelle tante notti. Nei momenti oscuri, di peccato, di disorientamento, lì c’è un appuntamento con Dio, sempre”

foto SIR/Marco Calvarese

Un appello alle istituzioni “affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori”. A rivolgerlo, alla vigilia della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, in programma il 12 giugno, è stato il Papa, prima dei saluti ai fedeli di lingua italiana collegati attraverso i media per seguire l’udienza, trasmessa in diretta streaming dalla biblioteca privata e dedicata alla figura di Giacobbe. “Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, in diversi Paesi molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà. In non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione, con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche”, il grido d’allarme di Francesco:” Tutti noi siamo responsabili di questo”.

“Un uomo che si è fatto da solo” e che “aveva fatto della scaltrezza la sua dote migliore”.

E’ l’identikit di Giacobbe, colui che ha rubato a suo fratello Esaù la primogenitura con l’inganno celeberrimo del piatto di lenticchie. “È solo la prima di una lunga serie di astuzie di cui questo uomo spregiudicato è capace”, il commento del Papa: “Costretto a fuggire lontano dal fratello, nella sua vita pare riuscire in ogni impresa. È abile negli affari: si arricchisce molto, diventando proprietario di un gregge enorme. Con tenacia e pazienza riesce a sposare la più bella delle figlie di Labano, di cui era veramente innamorato”. “Giacobbe – diremmo con linguaggio moderno – è un uomo che si è fatto da solo”, la sintesi di Francesco: “Con l’ingegno, la scaltrezza, riesce a conquistare tutto ciò che desidera. Ma gli manca qualcosa. Gli manca il rapporto vivo con le proprie radici”. E proprio quando decide di riprendere la strada di casa, avviene quell’episodio che dimostra come

la preghiera è “combattimento della fede e vittoria della perseveranza”.

In quella “pagina memorabile” della genesi, in cui Giacobbe è “in un turbinio di pensieri”, mentre si fa buio, all’improvviso uno sconosciuto lo afferra e comincia a lottare con lui: “Giacobbe lottò per tutta la notte, senza mai lasciare la presa del suo avversario. Alla fine viene vinto, colpito dal suo rivale al nervo sciatico, e da allora sarà zoppo per tutta la vita. Quel misterioso lottatore chiede il nome al patriarca e gli dice: ‘Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele’ perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!’. Gli cambia il nome, gli cambia la vita, gli cambia l’atteggiamento. Allora anche Giacobbe chiede all’altro: ‘Svelami il tuo nome’. Quello non glielo rivela, ma in compenso lo benedice. E Giacobbe capisce di aver incontrato Dio ‘faccia a faccia’”.

“Lottare con Dio è una metafora della preghiera”,

osserva il Papa a proposito di quella notte dalla quale il patriarca esce cambiato: “Cambiare il nome è cambiare il modo di vivere, cambiare la personalità: “Esce cambiato. Per una volta non è più padrone della situazione, la sua scaltrezza non serve. Non è più l’uomo stratega e calcolatore; Dio lo riporta alla sua verità di mortale che trema e che ha paura, perché Giacobbe nella lotta aveva paura. Per una volta Giacobbe non ha altro da presentare a Dio che la sua fragilità e la sua impotenza. Anche i suoi peccati. Ed è questo Giacobbe a ricevere da Dio la benedizione, con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo”. Giacobbe “prima era uno sicuro di sé, confidava nella propria scaltrezza. Era un uomo impermeabile alla grazia, refrattario alla misericordia. Ma Dio ha salvato ciò che era perduto. Gli ha fatto capire che era limitato, che era un peccatore, che aveva bisogno di misericordia”.

“Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio. Nella notte della nostra vita, nelle tanti notti. Nei momenti oscuri, di peccato, di disorientamento, lì c’è un appuntamento con Dio, sempre”.

Con questa immagine Francesco ha concluso la catechesi. “Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli”, ha proseguito: “In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto, prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini”. “Mi permetto di dire: poveracci”, ha aggiunto a braccio. “Ma, proprio allora – nel momento in cui mi sento un poveraccio – non dovremo temere, perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita, ci cambierà il cuore. E ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui”. “Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio”, ha concluso il Papa: “Lui sa come farlo, perché conosce ognuno di noi. ‘Signore, tu mi conosci’, può dire ognuno di noi: ‘Signore, tu mi conosci, cambiami’”.

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