Fase 2: la ripresa per noi preti

L’esercizio di questa settimana è per i preti, ma anche per tutti coloro che con i preti collaborano e che la vita della Chiesa ce l’hanno a cuore: prendiamoci un momento di raccoglimento, con tre bei fogli bianchi e una penna davanti, e proviamo a stilare nel primo l’elenco di quanto la pandemia e la quarantena non sono riuscite ad arrestare del nostro ministero, e continuiamolo; poi facciamo un secondo elenco, quello delle cose nuove che abbiamo compreso o sentito o voluto per noi e le nostre comunità durante la quarantena, e adesso avviamolo; infine un terzo elenco di quanto non c’è stato nei giorni del lockdown, e la cui assenza non ha tolto niente a nessuno (anzi!), e smettiamolo definitivamente

foto SIR/Marco Calvarese

Da due domeniche stiamo rivedendo la nostra gente a Messa; d’accordo, in realtà sono due settimane, ma sappiamo tutti che sono state queste due domeniche (e che domeniche: Ascensione e Pentecoste!) il banco di prova della nostra capacità di ripresa.
Non mi si tacci di clericalismo, ma oggi ci terrei proprio a condividere con i miei confratelli sacerdoti qualche spunto su come sta andando, e su cosa non dobbiamo né possiamo dimenticare.

Immagino che anche voi abbiate provato, come me, una certa tensione dinanzi ai protocolli ferrei da dover rispettare… veri e propri sudori freddi all’idea che qualche devoto non rispettasse le distanze, o che l’Ostia santa ci cadesse dalla mano resa insensibile dal guanto, o che qualcuno – sorpresa! – si sentisse male, ecc. ecc.

Come è stato al contempo commovente ed estraniante rivedere i volti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, dei nostri figli e delle nostre figlie, però solo parzialmente a causa delle mascherine, e intuire dai loro sguardi costernati il disagio per quei camuffamenti soffocanti eppure necessari.

Ebbene, tutto questo fa parte della nostra ripresa, ed è una ripresa dolorante e incerta, cauta e leggermente preoccupata, esattamente come una convalescenza dopo una pesante malattia.

Tutto questo, però, non deve farci dimenticare, e non ci deve indurre a pensare che ora il problema sia “tornare a prima”. Eh no, indietro non si torna, come ho già scritto precedentemente, e continuo a ripetere alla mia gente – come immagino stiate facendo voi, del resto.

“La nuova fase che iniziamo ci chiede saggezza, lungimiranza e impegno comune, in modo che tutti gli sforzi e i sacrifici fatti finora non siano vani”, ci ha scritto il Papa proprio ieri, per Pentecoste.

Questo non è per noi solo il tempo delle “cautele sanitarie”; questo deve essere anche (e soprattutto) il tempo del coraggio pastorale e della verità, in cui quanto abbiamo colto come necessario per la vita delle nostre comunità va portato avanti, quanto abbiamo riconosciuto essere fondamentale per la custodia del nostro sacerdozio va nutrito, e a quanto si è potuto rinunciare tranquillamente nel tempo della quarantena si dica definitivamente addio.

“La fede ci permette una realistica e creativa immaginazione, capace di abbandonare la logica della ripetizione, della sostituzione o della conservazione; ci invita ad instaurare un tempo sempre nuovo: il tempo del Signore. Se una presenza invisibile, silenziosa, espansiva e virale ci ha messo in crisi e ci ha sconvolto, lasciamo che quest’altra Presenza discreta, rispettosa e non invasiva ci chiami di nuovo e ci insegni a non avere paura di affrontare la realtà. Se una presenza impalpabile è stata in grado di scompaginare e ribaltare le priorità e le apparentemente inamovibili agende globali che tanto soffocano e devastano le nostre comunità e nostra sorella terra, non temiamo che sia la presenza del Risorto a tracciare il nostro percorso, ad aprire orizzonti e a darci il coraggio di vivere questo momento storico e singolare”, continua il Papa nella sua lettera di Pentecoste.

Starà senz’altro capitando a voi come a me: ci sono cose che nella quarantena si sono interrotte, e di cui non sentiamo affatto la mancanza; ci sono idee e modalità di azione pastorale che sono nate proprio dalla quarantena, e che dovremo portare avanti anche oltre, perché quello che abbiamo deciso quando il nostro cuore era più disposto a farsi ferire viene senz’altro da Dio; ci sono ritmi di preghiera e raccoglimento che la clausura forzata ci ha permesso di assumere, e che ora non possiamo proprio accantonare – almeno non del tutto!

Lo diciamo agli altri, deve valere anche per noi: non facciamo divorare dal tram tram che sta rimontando i germogli luminosi di consapevolezza e libertà sorti durante la pandemia!

L’esercizio di questa settimana è per i preti, ma anche per tutti coloro che con i preti collaborano e che la vita della Chiesa ce l’hanno a cuore: prendiamoci un momento di raccoglimento, con tre bei fogli bianchi e una penna davanti, e proviamo a stilare nel primo l’elenco di quanto la pandemia e la quarantena non sono riuscite ad arrestare del nostro ministero, e continuiamolo; poi facciamo un secondo elenco, quello delle cose nuove che abbiamo compreso o sentito o voluto per noi e le nostre comunità durante la quarantena, e adesso avviamolo; infine un terzo elenco di quanto non c’è stato nei giorni del lockdown, e la cui assenza non ha tolto niente a nessuno (anzi!), e smettiamolo definitivamente.

E vediamo che succede.

Dite che è impossibile?

 

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