La Calabria può sembrarci lontana, ma in realtà ci è vicina, non foss’altro perché siamo nella stessa barca, l’Italia, o – se scegliamo un’altra metafora – nello stesso “stivale”, senza escludere ovviamente Sicilia e Sardegna, che in mezzo al mare ci sono proprio… Ebbene, i risultati delle elezioni regionali nell’estrema punta della Penisola confermano quelli della settimana scorsa nella regione centrale delle Marche: a parte la vittoria nell’estremo nordovest dell’autonoma Union Valdôtaine in Valle d’Aosta, il “campo largo” non funziona e il centrodestra, per ora, si è pigliato tutto. Prossimamente, in questa raffica di elezioni regionali avremo, ancora al centro – questa domenica e lunedì -, la chiamata in Toscana, dove il presidente uscente Eugenio Giani (Pd) affronta il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi (FdI), e poi tutte insieme, il 23-24 novembre, al nord nel nostro Veneto e al sud in Campania e in Puglia. Le previsioni sembrano dare per scontate le specifiche vittorie nelle roccaforti tradizionali; ma bisogna stare a vedere. Anche perché il fatale decremento dei votanti può scompigliare i piani.
Tornando ai dati della Calabria, si è trattato di una vittoria esemplare e ammonitrice sotto vari punti di vista. L’illusione dello sfidante Pasquale Tridico è andata incontro ad una grande delusione: non mancavano premesse al centro-sinistra per sperare nello strappo alla regione; tuttavia né il buon cavallo del M5S (al posto di quello del Pd perdente nelle Marche), che ha ben galoppato anche con promesse mirabolanti, ha sortito l’effetto, smentendo la presunzione di Conte; né ha inciso la marea di proteste nelle piazze ProPal (o pro-Hamas?), che poteva dare una spinta in più alla sinistra, capitanata, neanche tanto in sordina, dalla Cgil di Landini (del resto, quel tipo di protesta era piuttosto trasversale, con non poca gente che alle urne probabilmente, per motivi diversi ma sempre sulla linea della protesta, preferisce non andare). L’ambìto scranno di Catanzaro resta dunque al presidente uscente Roberto Occhiuto. Due elementi da non sottacere, nei suoi riguardi – dato che ha addirittura anticipato il ricorso alle urne – ci sembrano, da una parte, l’ardire di candidarsi nonostante le vicende giudiziarie che lo tallonano; dall’altra, la capacità di far convergere al centro i consensi, anche con una propria lista, incrementando il bottino di Forza Italia, che ora può fregiarsi non solo di un presidente confermato, ma di un’affermazione eccezionale nei confronti di avversari e alleati. Nel primo caso egli dà una spallata significativa allo strapotere della magistratura, la quale si rivela spesso minacciosa ma anche contraddittoria e inconcludente negli esiti finali. Nel secondo fa progredire all’interno della coalizione una componente di equilibrio rispetto alle spinte delle altre due ali, in particolare del montante destrismo della Lega. La quale, tuttavia, date le soddisfazioni mietute da FdI nelle Marche e da FI in Calabria, può ben aggiudicarsi, senza eccessive contese, almeno l’esclusiva del Veneto. Contendibili o meno, le altre tre regioni – Toscana, Puglia e Campania – esprimeranno il loro “libero” verdetto, in questa saga locale che è sempre più nazionale, imprimendo e imponendo nuove tattiche e nuove strategie, specialmente al cosiddetto “campo largo”, che talora sembra invece restringersi confrontando i risultati con tornate precedenti.
È chiaro a tutti che, in una sorta di sperimentazione in vista delle elezioni politiche del 2027, il tentativo di unire queste forze – comprese quelle più “centriste” – risponde più che altro ad una volontà di rivalsa nel fronteggiare la macchina vincente del centrodestra e molto meno, o per nulla, a un progetto coerente di alternativa al governo nazionale (basti pensare alle clamorose divergenze in politica estera, ma pure nelle ispirazioni economiche). Questo lo capiscono anche gli elettori, almeno quelli che vanno alle urne; mentre gli altri se ne disinteressano comunque, allargando la forbice tra politica e società. È pur vero che anche nell’altro campo non mancano divergenze; ma evidentemente i tre partiti (anzi quattro con Noi Moderati) sanno fare squadra, ritenendo preminente l’obiettivo di continuare a governare a Roma e ipotecando, senza tanti patemi d’animo – coadiuvati dalla sterilità altrui – altri cinque anni insieme. Quanto alle regioni, troveranno il modo di spartirsi le spoglie per non rompere equilibri consolidati e per raccogliere (ma si spera anche “dare” in termini di organizzazione e di governo della cosa pubblica) il più possibile. Sale della democrazia, però, è la possibilità di alternarsi al comando. Per questo in Italia – mai come oggi così lontana dalla Francia dove ora regna invece il caos – serve comunque una reale ed efficace opposizione. L’onere di strutturarla e di evidenziarla spetterebbe al maggior partito, il Pd (per alto insidiato e snervato dal M5S); ma dovrà pensare esso stesso, prima o poi, al suo futuro e alla sua leadership.

