“Quale speranza c’è per la nostra fede? Siamo così abituati a parlare di fine della cristianità, cioè fine della civiltà cristiana, almeno in Europa. Misuriamo ormai da tempo il calo costante della presenza a Messa, il calo della celebrazione dei sacramenti, soprattutto il matrimonio e di tanti indicatori sociologici della pratica religiosa. Ma tutto questo significa davvero la fine più o meno inevitabile della fede cristiana? C’è speranza per la fede?”. Sono le domande che ha posto mons. Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, nell’omelia della messa nel giorno di Natale.
“Il Natale, intanto, ci dice che la prima volta che venne Gesù trovò la fede sulla terra – ha osservato il presule -. Trovò ad attenderlo un profeta, come Giovanni Battista. Trovò dei peccatori pentiti: quelli che alle parole del Battista si erano convertiti, allontanandosi dalle vie del male e del peccato. Trovò anime pure come Maria, ed anime semplici e piene di fiducia in Dio, come Giuseppe. Trovò dei disperati in cerca di nuova speranza, come i poverissimi pastori di Betlemme. Trovò uomini saggi, che scrutavano il cielo e percorrevano la terra alla ricerca della verità, come i Magi. Trovò gente piena di difetti, ma desiderosa di migliorare, come Pietro, Giacomo, Andrea, Matteo, Marta, Maria, Maddalena e gli altri discepoli. Fortunatamente di gente così ce n’è tanta nel mondo”.
Finché ci saranno cuori che attendono, che desiderano incontrare Dio nella loro vita, “ci sarà speranza per la fede”. Non solo: “Il Signore viene ogni giorno nella vita del mondo, ci viene incontro in mille modi e si fa presente con mille segni. Spesso basta solo aprire davvero gli occhi alla Sua luce e le orecchie alla Sua voce”. Il presule ha messo in guardia: “Più ci concentriamo solo sui vecchi segni della religione, di cui almeno alcuni hanno fatto il loro tempo, più rischiamo di non vedere i nuovi segni del Signore che viene, i nuovi germogli della fede che sempre si rinnova”.
Il Concilio, ha evidenziato mons. Marconi, “ci ha insegnato una cosa importante: per parlare ad un mondo nuovo, a gente nuova, bisogna tornare alle sorgenti fresche e buone della fede. Il Concilio è tornato a rileggere la Parola di Dio, ad ascoltare di nuovo la voce dei primi Padri della Chiesa, a guardare alla vita dei grandi Santi, a dare spazio ai profeti semplici ed umili che sempre manda a tracciare la via della Chiesa”. Forse “la via della speranza per la fede, per una fede sempre nuova e sempre antica, va imboccata con più decisione tutti insieme, questo significa la parola Sinodo. Per non dover poi dire, come fece S. Agostino: ‘Tardi Ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova; tardi Ti ho amato!'”.
“C’è speranza per la fede, soprattutto se lasceremo che la bellezza della fede brilli oggi agli occhi del mondo”, ha concluso.