Una striscia di mare blu, immobile testimone del dolore umano, fa da contrasto a un cumulo di macerie grigie, più in là bambini dallo sguardo spento posano davanti a palazzi sventrati, altri, invece, piangono di gioia, o di disperazione, in attesa di un pasto. C’è poi chi si sposa, promettendosi amore eterno e stringendo tra le mani un mazzo di fiori rossi, mentre il mondo crolla, o chi si concede gli ultimi, strazianti abbracci tra lacrime e sangue. Sono le quaranta le immagini, che si susseguono come tessere di un puzzle, di Qui resteremo, mostra fotografica itinerante che raccoglie scatti realizzati tra Gaza e la Cisgiordania nel biennio 2023-2025.
Un titolo evocativo, omaggio ai delicati, ma allo stesso tempo potenti, versi di Tawfiq Zayyad, poeta e politico palestinese morto nel 1994: Qui, sui vostri petti, rimarremo come un muro. Avremo fame, saremo nudi…Ma vi sfideremo. Reciteremo poesie.
Curata dall’associazione Gaza fuorifuoco Palestina con il sostegno della Cgil Toscana, l’esposizione si potrà visitare, grazie alla collaborazione di Rete Pacifista Cittadina, fino al prossimo 11 ottobre al Castello Imperiali di Francavilla Fontana (Br), tra le città pugliesi firmatarie dell’appello per la candidatura al Nobel per la Pace dei bambini di Gaza.
- Foto Cnr/Univ. Sapienza
Non solo immagini, che raccontano nei dettagli, una cruda realtà. Dietro ogni scatto si cela il coraggio di una schiera di fotoreporter palestinesi, tra cui figurano Abdul Akim Khaled Abu Rayash, Issam Rimawi Muhannad Abdulwahab, Mohmoud Elyan, Omar Abu Nada, Yasser Quadaih, Mohamad Al Baba, Musa Al-Shaer, Wala Hatem Sabry, Soha Sukkar e Hashem Zimmo.
“Ogni foto – sottolinea Giancarlo Albori, presidente di Gaza Fuori Fuoco, al Sir – porta in sé il rischio di essere un ultimo documento e di essere costato una vita”. Molti di questi fotografi, infatti, tra cui la giovane Fatima Hassouna, che per 18 mesi aveva documentato con le sue foto la distruzione a Gaza, sono morti svolgendo il loro lavoro.
“Nell’allestire la mostra, si è voluto puntare anche alla speranza e alla normalità. L’obiettivo era far emergere la forza, il dramma che vive quel popolo in un momento di sordità internazionale. Sembrava che questa vicenda dovesse cadere nel dimenticatoio, però oggi per fortuna abbiamo la sollevazione popolare che ci dà speranza. Dobbiamo rendere grazie e onore a quei fotografi che hanno avuto il coraggio di sfidare l’esercito israeliano, fare le foto, inviarcele e ricostruire un’altra narrazione.
La necessità di portare la mostra in più luoghi possibili è avvertita, così, come un dovere morale, soprattutto considerando che i fotografi uccisi in questa guerra, che trasforma chi documenta e racconta in un obiettivo sensibile, sono circa 300. Distruggere la possibilità di narrazione, infatti, è uno degli obiettivi primari di questo conflitto che non mira a radere al suolo solo case e ospedali, ma anche catasti e anagrafi, al fine di impedire la ricostruzione dell’identità stessa di un popolo”.

