Mentre la Chiesa universale si appresta a vivere il Giubileo dei catechisti, dal 26 al 28 settembre, la Chiesa di Milano ha già vissuto questo momento a livello diocesano, il 13 settembre, con il titolo “Battezzati, discepoli missionari”. Un incontro, presieduto dall’arcivescovo Mario Delpini, molto partecipato. Di questo appuntamento, come delle sfide della catechesi oggi parliamo con don Matteo Dal Santo, responsabile del Servizio per la catechesi dell’arcidiocesi di Milano.

(Foto Matteo Dal Santo)
Com’è andato il Giubileo a livello diocesano?
È stato un incontro molto intenso. Alcuni gruppi autonomamente parteciperanno al Giubileo dei catechisti a Roma, ma noi abbiamo scelto anche di fare un momento diocesano per dare a più persone la possibilità di vivere un’esperienza giubilare. Erano presenti circa 3.000 persone. Abbiamo invitato tutti i catechisti: battesimali, di iniziazione cristiana, dei cresimandi adulti, gli accompagnatori dei catecumeni e anche gli animatori dei gruppi di ascolto della Parola di Dio. Si è creato un bel clima di preghiera. Il nostro arcivescovo prima della celebrazione è passato a salutare tutti, girando per il duomo, e mi ha colpito che diversi catechisti lo ringraziavano per quel momento, che è stato vissuto proprio come esperienza di fede, di Giubileo. Venivano un po’ da tutta la diocesi e la celebrazione è stata molto sentita, molto partecipata. Dell’intervento dell’arcivescovo mi piace sottolineare un passaggio nel quale ha detto che le parole di fiducia sono quelle più necessarie: sono le parole di fiducia innanzitutto di Gesù nei nostri confronti, per cui si è catechisti perché inviati, perché abbiamo ricevuto una chiamata da parte del Signore. Oltre alle parole di fiducia del Signore, ci sono anche le parole di fiducia che possiamo dirci tra di noi. Le catechiste e i catechisti mi hanno anche dato questo ritorno di sentire la fiducia dell’arcivescovo nei loro confronti. Questo tema della fiducia, delle parole di fiducia che riceviamo dal Signore, ma anche che possiamo donarci tra noi, è anche il tema del Giubileo: diventare pellegrini di speranza, portare speranza e parole di fiducia.
Quanti catechisti ci sono in una diocesi grande come Milano?
Non abbiamo un numero preciso, non abbiamo mai voluto fare un censimento, posso darle una stima: potrebbero essere circa 10.000 catechisti e catechiste all’interno della nostra diocesi, che è grande: abbiamo mille parrocchie, 5 milioni di abitanti. Mi piace notare soprattutto che sono persone formate, molto generose e molto inserite nella comunità. Di solito la presenza dei catechisti in una comunità è sempre molto preziosa, anche perché la catechesi, l’iniziazione cristiana, con tutte le fatiche che ha in questo tempo, genera comunità. È un luogo molto missionario: dove è vissuto bene, permette di inserire nuove persone, di coinvolgere famiglie, di creare un tessuto di comunità. A volte non ci accorgiamo che questo
è un dono prezioso: per il fatto che si fa un po’ fatica oggi nella catechesi c’è il rischio di dire che chissà se serve, in realtà genera comunità.
Quali sono le difficoltà attuali per la catechesi? Come si fa a parlare a bambini, adolescenti, adulti di Dio oggi?
Penso che la prima grossa difficoltà sia il coinvolgimento delle famiglie, di conseguenza anche i bambini, i ragazzi sono meno motivati, meno sostenuti, non perché le famiglie non siano interessate, ma perché vivono nel nostro tempo che è un tempo molto pieno, molto faticoso, abbiamo famiglie molto sotto pressione per il lavoro, per i tanti impegni, quindi credo che ci sia questa fatica di fondo. A volte è difficile coinvolgere le famiglie, anche se devo dire che laddove si trova una modalità a misura di famiglia accogliente, bella, piacevole, che crea anche comunità e legami, le famiglie ci stanno. Per quanto riguarda i ragazzi, ci sono molti altri stimoli, tanti altri modi diversi di pensare, anche se devo dire che i bambini, soprattutto nei primi anni di catechesi, sono curiosi. Il Vangelo interessa, è una buona notizia, non per finta, quindi penso che anche qui la difficoltà è trovare anche i modi con cui parlare del Vangelo. La terza difficoltà è più sul nostro versante: a volte viviamo ancora una catechesi che è legata più alla modalità della spiegazione, della lezione, mentre dobbiamo andare verso una catechesi che sia una esperienza di vita cristiana, che è anche spiegazione, contenuti, preghiere da imparare, ma è qualcosa di più ampio. Abbiamo vissuto la formazione dei catechisti in questo periodo, di cui il Giubileo era il primo appuntamento, sul tema della sensibilità e della corporeità nella catechesi. L’idea è che una catechesi deve essere multisensoriale, anche un po’ più esperienziale, perché la fede è un’esperienza e non perché è un modo per catturare i bambini. L’altra difficoltà è che adesso le nostre comunità sono un po’ più fragili, abbiamo meno catechisti, anche meno forze e meno proposte. Per superare le difficoltà quando si è un po’ fragili, sia le famiglie sia le comunità, possiamo camminare insieme e unire le forze e le risorse, non c’è uno che deve dare e l’altro che deve ricevere. Si può far diventare questa situazione un’occasione propizia per la diffusione del Vangelo.
Com’è organizzato il vostro Servizio di catechesi?
È organizzato in settori: c’è la sezione catechesi, che si occupa appunto della catechesi di iniziazione cristiana, della catechesi battesimale, della catechesi degli adulti; poi abbiamo la sezione del catecumenato, quindi per i giovani adulti che chiedono di diventare cristiani; infine, la sezione dell’apostolato biblico, quindi tutte le iniziative che riguardano la lettura della Parola, la diffusione della conoscenza della Bibbia, i gruppi di ascolto della Parola diffusi nelle parrocchie. Io sono il responsabile, ci sono dei collaboratori e poi abbiamo tante équipe o tavoli di lavoro, commissioni che ci aiutano, è un lavoro d’insieme, anche bello e molto ricco, ovviamente coinvolgendo molto i laici.
Ci sono parecchi giovani che si avvicinano in età adulta alla nostra fede? Penso anche ai molti stranieri che il vostro territorio accoglie.
Numericamente sono leggermente in aumento, noi abbiamo circa 100 persone in cammino ogni anno. Il catecumenato è un cammino di due anni, quindi vuol dire che ogni anno ci sono circa 200 persone in cammino, con il coinvolgimento di altrettante parrocchie. I catecumeni sono sempre più giovani, il catecumenato tecnicamente è dai 18 anni in su, ma iniziamo ad avere anche degli adolescenti e dei preadolescenti che chiedono di diventare cristiani. Dei 100 catecumeni all’anno un terzo ha meno di 30 anni. L’altro dato che ci colpisce è che metà di loro è nata in Italia, quindi c’è una presenza ovviamente di stranieri abbastanza consistente, ma se negli anni passati la maggior parte dei catecumeni era di origine straniera, in realtà adesso non è più così: ci sono diverse persone che non hanno ricevuto il battesimo da bambini perché i genitori hanno preferito che scegliessero da grandi, oppure vengono da famiglie dove uno dei due genitori è di altra religione o di altra cultura o magari è non credente, quindi a questo punto si è scelto di lasciare la decisione a un’età più matura. È un cambiamento che non ci aspettavamo ed è anche un segno, secondo me, che
la Chiesa attrae, il Vangelo attrae.
Questi catecumeni iniziano ad affacciarsi nella comunità cristiana prima ancora di iniziare il cammino, cioè esplorano, curiosano, partecipano a delle messe, leggono il Vangelo, parlano con amici cristiani: come diceva il nostro arcivescovo nel Giubileo, la nostra fiducia è sapere che Dio attrae tutti a sé e questo è molto evidente nei catecumeni giovani e adulti.
Avete un feedback di che cosa li avvicina, incuriosisce, affascina?
Innanzitutto, ci sono delle domande di senso legate di solito a esperienze di vita, che possono essere innanzitutto esperienze legate all’amore. Alcune persone conoscono il cristianesimo perché vorrebbero sposarsi o legarsi a una persona cristiana, quindi vengono a conoscenza del Vangelo e di Gesù, questo non vuol dire che si battezzano per sposarsi, perché ci si può sposare anche senza essere battezzati, con un rito di matrimonio tra un battezzato e un non battezzato. La seconda dimensione è il dolore: tante persone incontrano il Signore a partire da esperienze dolorose, da lutti. Il terzo elemento che accende domande di senso è lo studio, soprattutto per gli universitari, lo studio della filosofia, della scienza, della letteratura, dell’arte. Importanti sono anche incontri con persone cristiane al momento giusto, cioè quando si sono aperte delle domande di senso, che aprono un po’ alla ricerca. Questo ci dà una responsabilità: una luce si può accendere, ma poi si può anche spegnere, se non c’è chi la raccoglie, chi l’ascolta, chi la fa crescere.
Don Matteo, c’è un identikit del catechista del terzo millennio, secondo lei?
Sicuramente persone appassionate a Gesù e alla Chiesa, quindi che frequentano Gesù, attraverso la preghiera personale e la lettura della Scrittura. Secondo, mi verrebbe da dire catechisti che lavorano insieme e quindi che creano comunità attorno a sé, con i bambini, i ragazzi, le famiglie, con la comunità in senso ampio, quindi persone di comunione. Il terzo elemento, secondo me importante, persone che sappiano prendere il passo dell’altra persona che accompagnano, perché quando accompagni una persona prendi il suo ritmo, cerchi di entrare nel suo linguaggio, cerchi di capire il suo vissuto, questo è ciò di cui la catechesi ha bisogno oggi, perché è esattamente il modo con cui possiamo andare oltre la difficoltà dei linguaggi. A volte non troviamo il linguaggio giusto perché non abbiamo la pazienza di imparare il linguaggio. Un missionario che va in una terra di missione prima di tutto impara la lingua, la cultura. Ecco,
noi abbiamo bisogno di persone appassionate a Gesù e alla Chiesa, persone di comunione e persone che sappiano accompagnare e davvero creare una reciprocità, una relazione.
La Quattro giorni comunità educanti, iniziata con il Giubileo diocesano dei catechisti, che obiettivo ha avuto?
La scelta è stata proprio quella di sottolineare il tema della corporeità e della sensibilità.
L’idea è stata di provare a esplorare come possa la catechesi essere una catechesi più incarnata,
dentro il corpo ma anche dentro le esperienze di ragazzi, come può essere quella dello sport, trovare linguaggi corporei espressivi che fanno entrare nell’esperienza della fede.

