“L’Intelligenza artificiale è una splendida invenzione degli umani, soggetti creativi di ‘strumenti’ che li aiutano a essere sempre più ‘performanti’ in ogni settore dello scibile e dell’agire sociale. Per quanto sia chiamata ‘artificiale’ essa è ‘naturale’, perché corrisponde alla ‘natura’ dell’uomo la creazione di strumenti esocorporei che siano utili al miglioramento delle condizione di vita”. Lo ha detto mons. Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di Teologia, nella sua relazione “Creato nel Generato: il ‘divino nell’uomo’ e l’antropologia del Rosmini”, intervenendo al Simposio Rosminiano 2025, in corso fino a oggi a Stresa. “In quanto strumento – a tratti meraviglioso e stupefacente – l’IA non è ‘intelligente’ né tanto meno ‘generativa’; non legge ‘dentro’ i dati alla ricerca dei significati (semantica) ma si assesta sul superficiale del collegamento, delle parole e dei concetti (sintattica). È – ha osservato il presule – più un ‘pappagallo stocastico’ che non un ‘esploratore poetico’. È questo il vero motivo per cui è sbagliato e rischiosamente deviante – nel dibattito pubblico sull’IA – concentrarsi sull’etica (algoretica) senza riflettere sull’antropologia”. Per mons. Staglianò, “l’IA impegna tutti a ‘capire’ meglio chi sia un essere umano e cosa sia l’umano dell’uomo. Senza una antropologia viva, infatti, ha detto Leone XIV, l’etica è solo un codice che può essere elaborato dai più ‘ricchi’ e dai più ‘potenti’ senza che ci si possa riferire a qualcosa di ‘oggettivo’ (cioè una antropologia condivisa) che impedisce di immaginare scenari distopici quale il mito dell’IA generale che sarebbe autonoma e autocosciente, prendendo il sopravvento sugli esseri umani. Qui l’antropologia del Rosmini diventa una ‘mappa di significati’ resiliente alle possibili degenerazioni tecnocratiche dell’IA (tra le quali si deve annoverare anche un’etica senza una antropologia condivisibile da tutti che la normi)”. “Quella del Rosmini è una antropologia viva e vivificante perché fondata su una concezione della persona come relazione amativa, la cui sorgente inesauribile della sua dignità è addirittura il ‘generarsi eterno del Figlio di Dio dal Padre’ – ha chiarito il presidente della Pontificia Accademia di Teologia -. Dio è Dio, l’uomo – creato nel Generato non creato che è il Figlio – è ‘divino’, perché il divino abita in lui come forma oggettiva, giustificandone la sua apertura infinita, la sua infinita creatività. È questa sorgente ‘divina’ inattingibile dall’IA a fare la differenza, per cui l’IA resterà sempre uno ‘strumento’ anche quando verrà istruita a ‘simulare’ la stessa persona umana”.