Giubileo 2025: mons. Castellucci (Carpi), “lasciamo aperta la porta dell’ospitalità”

Il vescovo di Carpi mons. Erio Castellucci ha presieduto ieri in cattedrale la concelebrazione eucaristica per la chiusura del Giubileo della speranza. Nel corso della celebrazione è stato ricordato l’81° anniversario del martirio di Odoardo Focherini, avvenuto il 27 dicembre 1944 nel campo di lavoro di Hersbruck in Germania, e al termine il vescovo Erio ha sostato in preghiera davanti al nuovo altare dove è stata collocata la reliquia del beato. Nell’omelia mons. Castellucci, nel commentare il Vangelo che narra della fuga in Egitto e poi il ritorno a Nazareth della Santa Famiglia, ha ricordato che “purtroppo la storia si ripete: profughi e sfollati segnano tutte le epoche, compresa quella tragica nella quale operò il beato Odoardo Focherini, che contribuì a rischio della vita alla salvezza di tanti, tra cui molti ebrei, perseguitati dalla furia nazista. E si ripete al punto che oggi nel mondo le persone in fuga sono arrivate al numero di 120 milioni: a volte inseguono il sogno di una vita migliore, altre volte fuggono l’incubo di un’esistenza penosa. Guerre, carestie, persecuzioni, disastri naturali, povertà, fame, malattie: sono le maggiori cause, spesso accavallate, dei ‘viaggi della speranza’, che per secoli hanno spinto anche milioni di italiani ad emigrare all’estero in cerca di una vita migliore”.
Altro rilievo che emerge dal racconto evangelico è la morte di Erode, il despota sanguinario che si è macchiato della strage degli Innocenti, ha ricordato Castellucci, “che la storia travolge prima o poi anche i tiranni che se ne sentivano i padroni; i potenti che in vita seminano rispetto nei sudditi e terrore nei nemici, che si inebriano della loro forza, che vivono nel delirio di onnipotenza, spariranno anch’essi dalla faccia della terra. E il mondo preferisce seppellirne anche il ricordo”. Allora qual è il frutto del Giubileo della speranza vissuto quest’anno con tante occasioni di conversione a cominciare dai pellegrinaggi? “Il Giubileo della speranza, che oggi chiude le porte delle chiese, lasciando aperte quelle dei cuori, ha svelato le ferite di tanti popoli: esuli, profughi, sfollati, richiedenti asilo. E di tanti, forse anche tra di noi, che, pur non dovendo fuggire da condizioni economiche, politiche o ambientali insostenibili, cercano asili di senso e rifugi interiori, perché – colpiti da malattie, sofferenze, divisioni, tradimenti, delusioni – devono lasciare la terra d’origine, il loro passato ormai insicuro, e inoltrarsi su altri orizzonti, dove trovare rifugio. Per molti, l’esperienza dei pellegrinaggi a Roma o nelle proprie diocesi, ha simboleggiato la ricerca di una terra nuova, sostenuta dalla speranza di lasciarsi alle spalle conflitti e violenze di ogni tipo, per immergersi nella Nazareth della famiglia, del lavoro, dell’amicizia, di una vita di relazione fatta di gesti quotidiani accoglienti. È la conversione a cui siamo stati invitati nell’anno giubilare: ed è proprio questa la porta che deve restare aperta tra di noi e con tutti: la porta dell’ospitalità”.

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