“La particolarità del nostro gruppo di lavoro, composto da cristiani e musulmani, è stata fin da subito il confronto e la volontà di evitare i rispettivi pregiudizi, non solo quelli altrui nei nostri confronti ma anche i nostri preconcetti”. Ha sintetizzato così Nadjia Kebour, docente del Pontificio Istituto di Studi arabi e d’islamistica, il metodo che ha consentito di giungere alla stesura delle schede “Per conoscere l’islam”, presentate oggi a Roma. Si tratta di un nuovo passaggio di un progetto di divulgazione che aveva già visto la pubblicazione di uno strumento analogo dedicato all’ebraismo. L’obiettivo è quello di mettere a disposizione dei lettori e del mondo editoriale un sapere condiviso messo a punto con un dialogo interconfessionale, che consenta ai cristiani un approccio veritiero alla religione islamica e al contempo ai fedeli di quest’ultima di sentirsi rappresentati e raccontati in modo diretto, con l’utilizzo delle fonti stesse, eliminando il più possibile mediazioni e distorsioni. Le schede, promosse da Cei e Pisai, sono state consegnate al preside dell’Istituto, Wasim Salman, che le ha simbolicamente collocate negli scaffali e ai rappresentanti di diverse case editrici. Kebour, tra i relatori intervenuti per presentare la pubblicazione, ha offerto una propria testimonianza sul metodo adottato per giungere alla redazione e sul valore complessivo del lavoro. “Quando mi è stato chiesto di partecipare a questo progetto – ha detto – ho accettato subito molto volentieri. Da quando sono arrivata in Italia nel 2004 sento parlare dell’islam come se fosse una religione di violenza e di terrore, superficiale, priva di amore e spiritualità. Volevo trasmettere il meglio di questo credo, dimostrare che l’islam non ha nulla a che vedere con questi tratti, ma che invece è fatto di amore, pace e dialogo. La particolarità del nostro gruppo di lavoro, composto da cristiani e da musulmani, è che ci siamo confrontati proprio per evitare i rispettivi pregiudizi, non solo quelli altrui, ma anche i nostri. I lettori devono poter accedere a conoscenze reali e concrete, senza l’ostacolo di queste distorsioni pregiudiziali che ostacolano la conoscenza. Mi sono sentita in dovere di andare nuovamente a scavare nella mia religione, per cercare di guardarla con occhi nuovi”. “Mi sono sentita responsabile davanti a Dio e alla mia coscienza di musulmana: ecco quindi che è stato un lavoro individuale e allo stesso tempo collettivo. L’aiuto reciproco e il confronto tra di noi – ha concluso – è stato necessario anche perché noi stessi in primis riuscissimo a guardare l’islam con occhi nuovi. Io spero che queste nuove schede possano avere la possibilità in futuro di aiutare nuove generazioni a conoscere attraverso la verità, senza preconcetti”.