Giubileo 2025: card. Reina, “in questo mondo lacerato da guerre, discordie e disuguaglianze tendiamo le braccia a tutti”

“Le braccia aperte del Padre sono la Porta Santa”. Lo ha detto il card. Baldassarre Reina, vicario generale del Papa per la diocesi di Roma, nell’omelia della messa presieduta nella basilica di San Giovanni in Laterano per l’apertura della Porta Santa, in cui ha attualizzato la parabola del padre misericordioso. “Non importa quanto lontani siamo andati, non è rilevante cosa abbiamo fatto, sprecato o rovinato”, ha spiegato il cardinale: “Nel momento in cui abbiamo deciso di tornare non troveremo mai una porta chiusa, ma un abbraccio che accoglie e benedice.
La casa che ci attende non è altro che la dimora del Padre, il suo cuore, un luogo dove siamo visti anche quando ancora non riusciamo a scorgere lui. È un cuore che si muove incontro a noi mentre siamo ancora distanti, perché lui non si è mai separato da noi”. “Vogliamo diventare pellegrini di speranza, di questa speranza, di un amore che non si stanca, di una salvezza ritrovata, di una famiglia ricostituita”, ha assicurato Reina: “Da quelle braccia aperte impariamo a essere chiesa, a divenirne il sacramento, famiglia del Dio che libera la nostra libertà verso il bene.
Non esitiamo a varcare la Porta che conduce al cuore di Dio, immagine viva delle sue braccia spalancate per accoglierci. Entriamo con fiducia, gustiamo e contempliamo quanto è buono il Signore; e una volta sperimentata la gioia di questa appartenenza filiale, diventiamo instancabili seminatori di speranza e costruttori di fraternità”. Varcare la Porta Santa, per il cardinale, “significa accogliere questa chiamata e vivere come figli nel Figlio, testimoni del Padre che ci aspetta mentre siamo ancora lontani. È un invito a rispondere alla grazia di Dio con un cuore aperto, lasciandoci riconciliare dal suo abbraccio che ci restituisce dignità e ci rende capaci di costruire relazioni di fraternità autentica”. “Oggi, mentre attraversiamo questa Porta che sono le braccia del Padre – ha concluso Reina – il nostro pensiero si
rivolge con particolare compassione a coloro che, come il figlio minore della parabola, si sentono lontani e indegni e a quelli che, come il figlio maggiore, portano nel cuore il peso di amarezze profonde e non si sentono più figli amati. Pensiamo ai malati, ai carcerati, a chi è segnato dal dolore, dalla solitudine, dalla povertà o dal fallimento; a chi si è lasciato cadere le braccia per sconforto o mancanza di senso; a chi ha smesso di cercare le braccia del Padre perché chiuso in se stesso o nella sicurezza delle cose del mondo”. “In questo mondo lacerato da guerre, discordie e
disuguaglianze – l’invito finale – tendiamo le braccia a tutti; facciamo in modo che attraverso le nostre braccia spalancate arrivi un riflesso dell’amore di Dio. Non ci salveremo da soli ma come famiglia e allora è la fraternità che dobbiamo coltivare fino all’estremo delle nostre forze! Resi figli nel Figlio, facciamo nostra questa missione e impegniamoci a vivere nella gioia del Vangelo. La nostra testimonianza, come quella di Maria e Giuseppe, sia luminosa e feconda, affinché ogni porta chiusa diventi una porta aperta e ogni cuore lontano trovi la via del ritorno
nella casa del Padre”.

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