
Summit “storico”: l’aggettivo si spreca, ricorre nelle dichiarazioni dei politici, su media e social. I 32 Paesi membri dell’Alleanza atlantica si sono dati appuntamento all’Aia il 24 e 25 giugno, convocati dal segretario generale, l’olandese Mark Rutte. L’ordine del giorno è però segnato dall’attualità, in particolare dall’attacco statunitense ai siti nucleari dell’Iran, che rischia di estendere il conflitto a tutto il Medio Oriente. Senza trascurare la guerra russa in Ucraina e la minaccia latente di possibili e sciagurate decisioni di Putin…
In agenda appare, in particolare, la questione dell’aumento delle spese belliche dal 2% sul Pil al 5%. Cifre iperboliche, dunque, per alimentare e ammodernare gli eserciti nazionali e assicurare – almeno nelle intenzioni – la difesa in Europa e sullo scacchiere internazionale.L’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Nato, Matthew Whitaker, ha affermato nei giorni scorsi: “Il vertice Nato all’Aia sarà una grande vittoria in termini di politica estera per l’amministrazione Trump”, ottenendo “dai nostri alleati europei e canadesi l’impegno a destinare il 5 per cento del loro Pil per la propria sicurezza e quella dell’Alleanza”.
Si calcola che per i Paesi europei servirebbero centinaia di miliardi in più ogni anno per raggiungere la percentuale indicata da Rutte e, di fatto, imposta dagli Usa. Va considerato che al momento nessuno dei Paesi aderenti all’Alleanza atlantica si avvicina a tale cifra: neppure gli Stati Uniti, fermi al 3,38%. A parte la Polonia (4,10% di spese militari sul Pil), in Europa le percentuali sono contenute e otto Paesi, fra cui l’Italia, sono sotto il 2%. Eppure, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, alla vigilia del vertice ha affermato: “Abbiamo preso l’impegno del 2%. Andremo avanti nella discussione per vedere che tipo di interventi fare, ma avendo ottenuto sia un prolungamento dei termini, sia una flessibilità, credo che potremo entro il 2035 raggiungere l’obiettivo del 5%”.
Fra l’altro va segnalato che, di fronte alle resistenze europee – e al no esplicito del premier spagnolo Sanchez, che si è chiamato fuori dall’impegno di raggiungere il 5% –, Rutte ha spiegato che quella percentuale di investimenti per difesa e sicurezza può essere diviso in due “capitoli”: il 3,5% per spese militari dirette (armamenti di ogni genere, missili, droni, contraeree…) e 1,5% per spese volte a rafforzare la resilienza (concetto da chiarire e precisare).
Sugli esiti del summit pesa dunque l’ombra di Trump (che ha dimenticato le promesse elettorali di non avviare nuovi conflitti e di tenere gli Usa fuori da ogni guerra) e gli interrogativi legati a possibili sviluppi del conflitto mediorientale (non sono pochi i leader europei che avversano queste azioni unilaterali di Washington).Arnaud Alibert, sacerdote assunzionista, caporedattore religioso del quotidiano francese La Croix, afferma su questi temi: “Dopo cinque mesi di nuova amministrazione statunitense al potere, la speranza di una pacifica regolamentazione delle relazioni interstatali attraverso il diritto e la diplomazia sembra definitivamente tramontata, a favore degli interessi di chi detiene le armi più potenti”. Poi specifica, sotto forma di domanda: “Gli americani sosterranno ancora questa loro idea quando la Cina affermerà la sua forza contro Taiwan o quando la Russia raddoppierà gli sforzi per vincere in Ucraina?”.
Durante la conferenza stampa pre-summit, tenutasi il 23 giugno, Mark Rutte si è lasciato andare con diverse valutazioni. La più sorprendente delle quali è stata quella secondo cui, a suo avviso, tutti i Paesi della Nato sono pronti a “combattere insieme e, se necessario, soffrire e morire insieme”. Il Segretario generale ha poi affermato: “Domani al summit sull’industria della difesa continueremo a vedere nuovi ordinativi” per l’industria bellica, “una cooperazione concreta per espandere la nostra base industriale nella difesa. Mandiamo un chiaro segnale di domanda. Abbiamo bisogno che l’industria risponda e che lo faccia rapidamente”, perché occorre accrescere la produzione militare. Per Rutte, spendere soldi per la difesa renderà tutti “più sicuri”; inoltre “c’è un enorme potenziale economico per le nostre società, inclusi più posti di lavoro per la nostra gente”.Ancora un affondo: “Non sono d’accordo con chi considera l’attacco degli Usa in Iran in contrasto col diritto internazionale. Semmai la mia principale paura è che Teheran possa avere la bomba atomica: sarebbe una minaccia per Israele e l’intera regione” mediorientale. Non ultimo, le parole di Rutte sulla posizione della Spagna: “Non ci sono deroghe né accordi a latere. Il 5% è un risultato storico ed è fondamentale per assicurare il nostro futuro. Sarà la decisione chiave del summit”.