
“Lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato”. Ventisette rappresentanti dell’associazione degli Scout cattolici palestinesi di San Giovanni Battista raccolgono l’eredità di Baden Powell con un gemellaggio per ribadire che “come giovani della Terra Santa vogliamo rimanere nei luoghi dove ha vissuto Gesù, per custodirli e costruire la pace. Vorremo che l’Italia sapesse questo”. Ad affermarlo al Sir Wadee Khadeer, 32 anni. Una vocazione che abbraccia insieme i principi dello scoutismo da un lato e la speranza di potere continuare a vivere nella terra natale dall’altro perché “questa Terra non vogliamo lasciarla”, aggiunge Nashaat Sayyed.
“Con la nostra presenza vogliamo custodire i luoghi santi e non è un caso se siamo cristiani nati in Terra Santa ed in questo momento storico”.
“I tempi di difficoltà che stiamo vivendo ci danno la responsabilità di educare le nuove generazioni perché siano coraggiose e forti davanti alle sfide del presente”, gli fa eco Nicole Khader, 24. Le voci di Jenin, nel più grande campo profughi della Palestina, non si arrendono ai venti di guerra, ma tendono la mano verso la pace. “La nostra è una missione di giustizia, di fraternità e vicinanza”, aggiunge mentre spiega l’importanza di “promuovere il bene ed educare a questi valori, specialmente in quegli angoli di mondo che risultano ancora miopi”.
Fonte di speranza. Il viaggio in Italia è fonte di forza e speranza per gli scout palestinesi. “Per arrivare qui, dove ci siamo sentiti accolti e compresi, ci sono voluti tre anni”, riferisce Bashar Diab. “Abbiamo ottenuto il visto l’ultimo giorno prima della partenza. Il patriarca ha assunto la responsabilità, presso il console, perché noi potessimo partire passando per la Giordania e arrivare fin qui”. Molti di loro non erano mai usciti prima d’ora dalla Cisgiordania. “La guerra non fa sconti ma davanti a ciò che accade a Gaza ci sentiamo vicini alle persone che sono lì, perché sono palestinesi come noi”, racconta Jiries Ibrahim. “Preghiamo per la misericordia di Dio, per noi e per la nostra patria perché finisca la guerra. Per essere con Gaza non devo essere palestinese, basta che siamo umani”. Nelle parole e nel cuore degli scout abita il desiderio di pace.
“Le difficoltà che viviamo ogni giorno ci danno la grande responsabilità di infondere il coraggio nelle generazioni più giovani per trasmettergli il privilegio della speranza”,
ribadisce Nicole. “La volontà di Dio è con noi e ci dice di rimanere in questo tempo in Terra Santa. La nostra è la terra della pace e siamo certi che tornerà perché noi vogliamo accoglierla”.
Educare alla pace. I giovani del gruppo scout che è nato nel 1981, tutti tra i 19 e i 30 anni, rivendicano di essere “un movimento di pace, cristiani della Palestina che amano la giustizia e la pace che chiediamo al mondo di aiutarci a costruirla”.
“La nostra è un’opera educativa apolitica, ma non possiamo prescindere da ciò che ci accade attorno”, affermano in coro, impegnati con i più piccoli ad “insegnare ad usare bene i social media per evitare di farli cadere nelle insidie della propaganda. Gli adolescenti trovano in internet contenuti che li incoraggiano anche a convertirsi all’Islam e li incitano alla liberazione armata della Palestina”,
riferisce don Elias Tabban, che assieme alla mamma ha accompagnato il gruppo. “Le famiglie dei bambini tra i sei e i dodici anni non ci appoggiano – conclude – e così tutto è così più difficile. Quando vedono droni e aerei si spaventano perché hanno paura che siano i razzi di cui hanno visto le immagini in rete”. La delegazione, mercoledì 11 giugno, era a Verona dove ha incontrato il vescovo, mons. Domenico Pompili. In questo fine settimana, prima di lasciare l’Italia, gli scout attraverseranno le porte sante di San Giovanni in Laterano e San Paolo fuori le Mura accompagnati dalla preghiera di don Elias che il prossimo 17 giugno celebrerà il suo 25° anniversario di ordinazione sacerdotale.